Gran Bretagna e Francia cercano di rabbonire le tre potenze che rappresentano oggi la minaccia maggiore per il mondo: Iran, Cina e Russia. Nella foto: il presidente russo Vladimir Putin, il presidente cinese Xi Jinping e il presidente iraniano Hassan Rohani, a Bishkek, in Kyrgyzstan, il 14 giugno 2019. (Foto di Vyacheslav Oseledko/AFP via Getty Images) |
L'Europa è in preda a una malattia particolarmente virulenta e perniciosa che minaccia il benessere delle sue popolazioni e del mondo: non si tratta del Coronavirus, ma dell'appeasement. La politica estera anglo-francese degli anni Trenta era altresì dominata dall'appeasement (distensione) – nei confronti della Germania nazista – una politica che non riuscì a prevenire una delle più grandi catastrofi che abbia mai colpito la civiltà e che portò alla morte di milioni di persone.
Ora, Gran Bretagna e Francia cercano di rabbonire le tre potenze che rappresentano oggi la minaccia maggiore per il mondo: Iran, Cina e Russia. Come membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, la scorsa settimana, Gran Bretagna e Francia si sono genuflesse ai loro acerrimi nemici rifiutandosi di appoggiare il loro più grande alleato, gli Stati Uniti, nella risoluzione da loro proposta e finalizzata ad estendere l'embargo sulle armi all'Iran. Questa risoluzione è stata ovviamente osteggiata da Cina e Russia, che intendono entrambe vendere all'Iran armi convenzionali avanzate, non appena l'embargo scadrà a ottobre.
Negli anni Trenta, le intenzioni aggressive della Germania nazista erano chiare. Sebbene l'appeasement nei confronti di Hitler fosse imperdonabile, il motivo principale era forse incomprensibile: un atteggiamento prevalente di "pace a qualunque costo", dopo il massacro senza precedenti della Prima guerra mondiale, che all'epoca era ancora così impresso nella mente di tutti.
Oggi, le intenzioni dell'Iran di Khamenei sono altrettanto chiare e sono state spesso manifestate nell'aggressione imperiale in tutto il Medio Oriente, soprattutto contro Iraq, Siria, Libano, Yemen e Arabia Saudita, così come nelle sue costanti minacce e azioni militari contro Israele.
Anche se i Paesi europei fossero così miopi da trascurare queste aggressioni distanti geograficamente, come potrebbero ignorare la moltitudine di complotti terroristici e di piani di attentato orchestrati dagli emissari iraniani sul loro stesso suolo negli ultimi anni? Oltre all'omicidio e al tentato omicidio di dissidenti iraniani, questi piani includono un fallito attentato dinamitardo a una conferenza di Parigi nel 2018 e lo stoccaggio di tonnellate di materiali esplosivi a Londra nel 2015. Solo pochi anni prima, mi trovavo a Downing Street a discutere dell'uccisione delle truppe britanniche da parte di emissari iraniani e incontrai una diffusa riluttanza a intraprendere qualsiasi azione efficace.
Le scuse per i timori britannici e francesi sono meno convincenti oggi di quanto non lo fossero negli anni Trenta. Ciò include i ricordi delle recenti campagne in Iran e in Afghanistan, sebbene queste non abbiano colpito quasi nessuno in Europa, a differenza delle Grande Guerra. Questa paralisi è aggravata da un annoso e radicato senso di colpa coloniale, che è stato sfruttato per decenni dalla Sinistra per minare la fiducia nazionale e promuovere uno spirito di appeasement nei confronti dei Paesi mediorientali. Il crescente radicalismo islamico nel Regno Unito e in Francia, dove risiedono decine di migliaia di noti jihadisti, è servito altresì a incoraggiare la pusillanimità.
Se le conseguenze economiche della Grande Depressione alimentarono l'appeasement negli anni Trenta, i legami commerciali odierni tra Europa, Cina e Russia, unitamente all'apprensione per il panorama economico post-Covid, dissuadono i governi del Vecchio Continente e le istituzioni europee dall'idea di inimicarsi i due Paesi.
C'è però un altro fattore che forse incide maggiormente nelle menti dei nostri smarriti politici europei. La Gran Bretagna, e ancor di più la Francia, erano profondamente preoccupate per l'accordo sul nucleare iraniano negoziato dall'ex presidente degli Stati Uniti Barack Obama, il Piano Congiunto di Azione Globale (JCPOA), che è direttamente responsabile della crisi che minaccia di travolgere il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Entrambi i Paesi, così come la Germania e la stessa UE, sapevano fin troppo bene che il JCPOA invece di negare all'Iran la via delle armi nucleari come previsto dal suo scopo dichiarato, in realtà, ha spianato la strada a Teheran – non solo all'acquisizione delle capacità nucleari, ma a farlo in modo legittimo, efficacemente e con la benedizione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Seppur a malincuore, i due Paesi hanno aderito al JCPOA perché è stato il presidente Obama, che loro adoravano, a chiederglielo. Il ritiro del presidente americano Donald J. Trump dall'accordo li ha messi in imbarazzo. Disprezzavano Trump tanto quanto riverivano Obama e, sebbene sapessero che aveva ragione, non avrebbero potuto seguire il suo esempio.
La scorsa settimana, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha avviato a New York il processo di attivazione della procedura dello snapback (il meccanismo dell'accordo sul nucleare iraniano del 2015 che innescherebbe le sanzioni contro Teheran in caso di violazioni, N.d.T.) che ha avvalorato l'avallo dato dalle Nazioni Unite al Piano Congiunto di Azione Globale nella Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Pompeo lo ha fatto perché il Consiglio si è opposto all'estensione dell'embargo sulle armi all'Iran. Il suo effetto sarà quello di ripristinare tutte le precedenti sanzioni delle Nazioni Unite contro Teheran, tra cui l'embargo sulle armi convenzionali. Vieterà inoltre il sostegno internazionale al programma missilistico iraniano, lo sviluppo di missili nucleari e le attività di arricchimento nucleare; e ripristinerà i divieti di viaggio per le persone sanzionate nel regime di Teheran. Lo snapback metterà irrimediabilmente fine al JCPOA.
Lo snapback è giustificato in base alle disposizioni contenute nella Risoluzione 2231 a causa delle violazioni da parte dell'Iran degli impegni assunti con la firma del JCPOA certificati dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA). L'Agenzia ha riferito a giugno che l'Iran ha arricchito l'uranio e aumentato quello a basso arricchimento oltre le quote consentite, ha superato i limiti delle sue riserve di acqua pesante, ha testato centrifughe avanzate e ha ripreso l'arricchimento dell'uranio nel suo impianto di Fordow, violando in tal modo l'accordo. L'AIEA ha inoltre precisato che l'Iran continua a rifiutare l'accesso ai siti nucleari agli ispettori internazionali e potrebbe nascondere materiali e processi nucleari non dichiarati.
La Gran Bretagna e la Francia ovviamente lo sanno fin troppo bene e insieme alla Germania, a gennaio, hanno avviato il meccanismo di risoluzione delle controversie del JCPOA per protestare contro le violazioni dell'Iran. Tuttavia, hanno respinto la richiesta degli Stati Uniti di estendere l'embargo sulle armi e pianificano non solo di rifiutare il sostegno allo snapback americano, ma di contrastarlo attivamente in seno al Consiglio di Sicurezza al fine di appoggiare i tentativi russi e cinesi in tal senso, con l'acclamazione di Germania e Unione Europea.
Come l'Iran, questi Paesi si aspettano e sperano che il presidente Trump perda alle elezioni di novembre e che l'accordo nucleare possa essere salvato dal suo successore. Per chiunque vincerà le elezioni decidere il da farsi non sarà così facile. Inizia ora un periodo di trenta giorni di ritardo e offuscamento nel Consiglio di Sicurezza dell'ONU. I sostenitori dell'Iran stanno cercando disperatamente di impedire lo snapback adducendo come motivo il fatto che gli Stati Uniti, essendosi ritirati dal JCPOA, non hanno più diritto di richiederlo. Purtroppo per loro, si sbagliano. Ma ciò non gli impedirà di avere infinite convulsioni mentre cercano di piegare al loro volere le disposizioni e i precedenti del Consiglio di Sicurezza dell'ONU.
Il risultato finale probabilmente sarà il successo della snapback di Pompeo. Il ripristino delle sanzioni lascerà quindi la Cina, la Russia e i Paesi europei alle prese con decisioni difficili: se osservarle o accettare le conseguenze dannose per le loro relazioni commerciali con gli Stati Uniti. Nel frattempo, potrebbero essere irrimediabilmente danneggiate non solo le relazioni tra gli Stati Uniti e l'Europa, ma anche le stesse Nazioni Unite, un'istituzione che è già sotto pesante attacco da molti negli Stati Uniti.
E per cosa? Forse a beneficio di Russia e Cina, le cui vendite di armi all'Iran porteranno sia vantaggi finanziari sia l'opportunità di estendere la loro influenza nella regione a spese dell'America e dell'Europa.
Per quanto riguarda l'Europa, essa potrebbe sperare di ottenere qualche complimento contorto quando si oppone al malvagio Trump e agli Stati Uniti, e forse qualche magro guadagno dalle relazioni commerciali con l'Iran. Questo senz'altro non promuoverà la pace né la sicurezza globale. Potrebbero esserci dei benefici per i guerrafondai ayatollah di Teheran, ma di certo non ce ne saranno per la popolazione iraniana o per altri Paesi del Medio Oriente. Molti iraniani rispettabili non desiderano altro che una rapida fine dei repressivi ayatollah, i quali li hanno trasformati in reietti e li hanno costretti alla miseria. Se le sanzioni previste dallo snapback avranno successo, ciò non potrà che accelerare la fine del regime terrorista di Teheran e rafforzerà anche la fiducia e la sicurezza tra i Paesi arabi, sempre più timorosi di un Iran dotato di armi nucleari.
La politica europea di appeasement, negli anni Trenta, ebbe termine grazie a un uomo praticamente da solo: Winston Churchill. L'attuale primo ministro britannico, Boris Johnson, autore di una biografia di Churchill, farebbe bene a riflettere su come reagire a questa terribile situazione e ad appoggiare i nostri alleati americani nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Il colonnello Richard Kemp è stato comandante delle forze britanniche. È stato anche a capo della squadra internazionale contro il terrorismo nell'Ufficio di Gabinetto del Regno Unito e ora è autore e conferenziere su questioni internazionali e militari.