Nelle ultime settimane ci sono stati importanti segnali di interesse mostrato verso il mondo musulmano perché si apporti una riforma dell'Islam. Tutto è partito dall'eroico ed encomiabile discorso pronunciato alla fine del 2014 dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che ha criticato l'ideologia dell'Islam. Egli ha osservato come questa ideologia sia ostile al mondo intero e ha invocato una "rivoluzione" in seno all'Islam. A ciò ha fatto seguito l'appello lanciato dallo sceicco Ahmed al-Tayyeb, il grande imam dell'Università egiziana di Al-Azhar, per chiedere la riforma radicale dell'insegnamento religioso, anche se in modo tutt'altro che eroico, disdicevole e per nulla credibile si sta ancora cercando di addossare la colpa ad altri.
Un piano egiziano per combattere l'islamismo radicale sarà anche all'ordine del giorno del summit arabo che si terrà il prossimo 26 marzo a Sharm El Sheikh.
Se gli stessi musulmani ora capiscono che c'è un problema, anche i responsabili decisionali e politici di tutto l'Occidente farebbero bene a capirlo – e a dare loro un sostegno concreto.
È come se al-Sisi, al-Tayyeb e altri si fossero resi conto che l'Islam, come ora si presenta, potrebbe essere considerato da molti un'ideologia politica espansionista basata sulla paura e alla ricerca del potere, travestita da religione. Si potrebbe inoltre pensare che esso disponga di meccanismi di controllo, che assicurano la fedeltà attraverso le minacce di morte o scoraggianti atti di violenza per "apostasia"; "che offenda il profeta"; che non sia "abbastanza obbediente"; che non appartenga alla versione "esatta" dell'Islam; potrebbe essere messo in discussione o criticato in genere, per ogni infrazione o solo perché si vuole uscire da esso. Un importante teologo sunnita, Yusuf al-Qaradawi, che è il leader spirituale dei Fratelli musulmani, ha ammesso che "se i musulmani si fossero sbarazzati della pena di morte per apostasia, l'Islam oggi non esisterebbe".
Qui, in Norvegia, i critici dell'ideologia islamica iniziano a farsi sentire, come il giornalista e direttore Vedbjørn Selbekk, la giornalista e scrittrice Hege Storhaug, il pastore luterano Einar Gelius e l'impavido politico Per Sandberg.
Il pastore Einar Gelius dice che l'Islam ha bisogno di essere messo in discussione e criticato nei suoi valori e nell'ideologia, come anche il Cristianesimo. Selbekk, giornalista e direttore, nel 2006, destò scalpore quando osò ristampare alcune vignette di Maometto pubblicate dal quotidiano danese Jyllands-Posten. Per questo, egli fu prevedibilmente ostracizzato dal premier Jens Stoltenberg. L'attuale primo ministro, Erna Solberg, di recente ha però espresso il suo rammarico per il mancato sostegno a Selbekk da parte delle autorità, all'epoca dei fatti.
Un altro problema che va affrontato è come l'Islam viene presentato nel sistema scolastico europeo. La traduzione norvegese del Corano è in versione ridotta essendo state eliminate le parti meno suggestive. Quindi l'Islam viene presentato come se fosse già stato riformato, e ora non è qualcosa di più minaccioso rispetto alle altre fedi religiosi, ad esempio i quaccheri.
La domanda cruciale è la seguente: l'Islam sarà ora riformato per conformarsi alla versione che si trova nei libri di testo? O saranno i libri di testo a essere modificati per essere fedeli all'ideologia dell'Islam? Nelle scuole, non si insegnano abitualmente le ideologie politiche espansionistiche durante l'ora di religione. Al momento, la versione commercializzata non dice alla popolazione autoctona della Norvegia quello che c'è davvero scritto.
La Norvegia intende anche espellere quest'anno almeno 7.800 immigrati richiedenti asilo e ha aumentato il bilancio portandolo a 150 milioni di corone (oltre 19 milioni di dollari). Nel 2014, ne sono stati espulsi 7.529, raggiungendo a ottobre un record di 834. Nel gennaio scorso, sono state espulse 494 persone; di queste, 180 avevano precedenti penali.
I rappresentanti del Dipartimento per l'Immigrazione norvegese gestito dalla polizia hanno detto lo scorso novembre che le espulsioni hanno un effetto positivo sulle statistiche criminali, dal momento che i richiedenti asilo sono anche autori di reato.
Nel frattempo, la stampa continua a giocare sporco screditando coloro che conoscono l'Islam – e rivelano i suoi lati più sconcertanti. C'è stata una scarsa copertura mediatica dell'interesse per la riforma espressa oggi in Medio Oriente. L'enfasi è ancora concentrata sui tentativi di ingannare la popolazione sui contenuti dell'Islam.
C'è però una nota più positiva, perché per la prima volta in occasione della Giornata internazionale delle donne (un grande evento in Norvegia) l'attenzione politica è stata rivolta ai problemi delle donne non occidentali, come ad esempio i matrimoni forzati e le mutilazioni genitali femminili.
Un'importante voce norvegese, paladina delle questioni legate alla cultura, alla religione, ai problemi delle donne, all'omosessualità e all'integrazione, è la scrittrice musulmana di origini somale Amal Aden, che da anni vive nel terrore, ricevendo minacce di morte. Dopo che le era stato detto dalla polizia che per la sua sicurezza avrebbe dovuto abbassare i toni nei dibattiti, ora si è vista aumentare il livello di protezione da parte delle forze dell'ordine.
In Norvegia c'è anche una tendenza spiacevole a "incolpare le vittime", il che significa che se qualcuno prova a levare la voce e ne seguiranno delle conseguenze negative, beh, la colpa è sua, perché tenendo la bocca chiusa, non si corre alcun rischio. Non sembra esserci molta consapevolezza che questa sorta di autocensura sotto minaccia era usata nella ex Unione Sovietica e da altri tiranni per soffocare ogni forma di dissenso prima che questo potesse scoppiare. Ne consegue che si finisce per autocensurarsi in una spirale mortale di sottomissione a qualsiasi cosa. Questa autocensura, che sia volontaria o il frutto di una minaccia implicita, è la tomba dell'illuminismo, dell'umanesimo e del fondamento di tutta la scienza: lo spirito della libertà di ricerca.
In Norvegia c'è una grossa incongruenza tra gli ingenti fondi stanziati per finanziare i programmi scolastici anti-bullismo e il bullismo apertamente crudele e la radicalizzazione degli adulti mostrati dai media.
Sembra che in ogni paese europeo le forze di polizia siano occupate a proteggere chi vuole tutelare la libertà di parola, coloro che attirano l'attenzione dell'opinione pubblica sui potenziali problemi dell'Islam o che difendono la libertà di espressione (come Geert Wilders, Ayaan Hirsi Ali e Ahmed Aboutaleb nei Paesi Bassi; Lars Hedegaard in Danimarca; Lars Wilks in Svezia; Vebjørn Selbekk in Norvegia; Salman Rushdie in Gran Bretagna – e la lista si allunga).
Che cosa ci fa capire tutto questo della situazione in Europa, della democrazia, della libertà di espressione e dell'Islam?
Poiché i lati spiacevoli dell'Islam si sviluppano in quello che a volte sembra essere un film dell'orrore senza fine, la gente è piena di malcontento. Le persone si rendono conto che i politici non prestano ascolto alle loro preoccupazioni e si chiedono se esistano soluzione politiche alternative – guardando ai candidati che si mostrano attenti alle loro necessità o che offriranno più referendum, come hanno fatto in Svizzera.
In modo costruttivo, il politico cristiano Tybring-Gjedde ha sottolineato che ciò che ostacola la Norvegia sono la conformità, il consenso e il fatto che i media diano quasi sempre spazio ai propinatori prescelti di qualche "verità" prescelta. Con questo, Tybring-Gjedde richiama indirettamente l'attenzione sulla distruttiva tradizione culturale della Janteloven ("La legge di Jante"), che prende il nome da un romanzo del 1933 dello scrittore dano-norvegese Aksel Sandemose. Il libro richiama una regola sociale comune in Scandinavia: "Non pensare di essere migliore di chiunque altro". "La legge di Jante" è spesso descritta come un atteggiamento accondiscendente verso l'individualità e il successo: denigrare i risultati conseguiti dagli individui, sostenere il pensiero di gruppo e sminuire chi si distingue, soprattutto se ha realizzato qualcosa.
Chiaramente, questa "legge di Jante", come tante altre cose, ha esaurito il suo presunto beneficio.
Occorre anche liberarsi della paura di utilizzare termini come "razzista" e "islamofobo" – e di essere critici e discordanti in generale. I politici devono rimboccarsi le maniche, uscire dal guscio e agire. Tale questione non si risolve da sola, poco importa quanto potrebbe essere gradita.
La cosiddetta iniziativa "una catena umana di pace" ha ricevuto l'attenzione internazionale dei media ed è stato un gesto positivo. Ma scalfendo solo la superficie, le gentilezze della "generazione dell'arcobaleno" e gli appelli alla solidarietà non risolvono le questioni fondamentali che andrebbero discusse, ossia i contenuti dell'Islam; in che modo essi incidano sul modo di pensare e di agire dei musulmani e quali azioni dovrebbero essere intraprese per difendere una democrazia calante e fatta a pezzi – soprattutto per quanto riguarda la libertà di espressione – e per proteggere le popolazioni autoctone dell'Europa da un'ideologia espansionista, piuttosto che assecondare sempre più le richieste dell'Islam, come sembra oggi accadere nella maggior parte del Vecchio Continente.
Ci può essere un'evoluzione solo grazie a una conoscenza più approfondita dell'Islam, analizzandolo con attenzione. È anche giunto il momento di guardare ai lati positivi che possono derivare da un tale conflitto.
L'introduzione di Einar Berg alla traduzione norvegese del Corano (Universitetsforlaget, 1989) è rivelatrice. È quasi apologetica nei toni. Essa spiega che il Corano è un prodotto del suo tempo e pertanto va letto solo in tal senso. È come se il traduttore fosse rimasto sconcertato da ciò che aveva tradotto e avesse cercato di renderlo in una luce più piacevole. Egli raccomanda di leggere il Corano a ritroso. Le parti successive o più recenti del Corano sono più violente e sanguinarie rispetto a quelle precedenti o più antiche. E questo tramite "l'abrogazione" (la teoria secondo cui i testi della seconda parte della vita di Maometto a Medina sono considerati da molti studiosi islamici sostitutivi di quelli precedenti, più pacati).
La preferenza di Berg sembra chiara rispetto agli atti di atrocità commessi in nome del Corano, dell'Islam, del jihad, di Allah e delle allusioni ai vari testi islamici. Come tale, l'introduzione di Berg, dicendo che i capitoli precedenti (meno violenti) sono quelli più importanti, manipola direttamente l'Islam e svia il lettore.
Ovviamente versetti che recitano "coloro che combattono per la causa di Allah valgono più di coloro che rimangono nelle loro case" (Corano 4,95; lo stesso messaggio è ripetuto in altri versetti) spiegano chiaramente il motivo per cui molti si uniscono all'Isis. Inoltre, evidenziano come l'interpretazione dell'Isis smentisca l'affermazione che l'Islam è semplicemente una religione di pace o una guida alla comprensione spirituale.
Negare questi fatti significa tradire la propria popolazione. Il capitolo 4 non è il solo a menzionare i miscredenti. Il capitolo 2, ad esempio, ha 286 versetti, ove si citano 52 volte i miscredenti e cosa dovrebbe accadere loro – un tratto presente in tutto il Corano.
Se ora i politici occidentali e altri sono presumibilmente a conoscenza dei testi che incoraggiano l'uccisione degli infedeli, forse ancora più importante è la diffusa e distruttiva attenzione concentrata sui miscredenti – la spinta a denigrarli e ucciderli – e come questo potrebbe condizionare le menti di molti musulmani, soprattutto dei bambini.
Imparare a memoria il Corano come fa un bambino è ritenuto dall'Islam un risultato importante, pertanto, la frequente menzione dei miscredenti – con l'attenzione negativa sugli altri anziché su se stessi – può condizionare mentalmente il lettore.
Lo stesso condizionamento è usato per addestrare i soldati prima di andare in guerra, per condizionare le loro menti a credere che il nemico sia inferiore e che non sia un essere umano, per rendere loro più facile il compito di uccidere. La differenza sconcertante è che l'Islam impartisce questo condizionamento a ogni bambino. Immaginate se tali principi fossero i frutti sperati di ogni Cresima, Bar Mitzvah o di ogni Prima Comunione. Nello scenario peggiore, i contenuti del Corano sono "percorsi motivazionali" che ogni bambino musulmano deve seguire per diventare un "Soldato di Allah". Questo indottrinamento all'odio può essere visto in innumerevoli video postati su Memri o Palestinian Media Watch. La televisione palestinese mostra bambini musulmani che fanno sfoggio della retorica anti-ebraica, imparata a pappagallo dalle dottrine islamiche. Lo stesso condizionamento traspare anche dai video che documentano l'addestramento dei bambini musulmani nei campi militari dell'Isis.
I politici e i paesi occidentali devono fare i conti con questo. Farebbero bene a smettere di predicare la bugia della "religione di pace", alla quale, a questo punto, non crede più nessuno, e seguire invece l'esempio dei cambiamenti legislativi apportati in Austria.
I politici che fanno seriamente il loro lavoro devono capire che l'Islam si differenzia dalle altre religioni.
Se anche al-Sisi e al-Tayyeb si sono resi conto che occorre agire, è il momento di schierarsi dalla loro parte e di chi asserisce che c'è un problema, e bisogna almeno parlare di riforma. Tenere conto dei fatti spiacevoli spesso forse lascia addosso un senso di disagio e disorientamento, ma è importante farlo per il bene futuro di tutte le società. La violenza e il dualismo vanno affrontati, e i coraggiosi visionari musulmani, come al-Sisi e molti altri che ne parlano, hanno bisogno del nostro sostegno concreto.