Ancora una volta, Israele e Hamas hanno concordato un cosiddetto "cessate-il-fuoco". Ancora una volta, visto che Hamas ritiene che tutto Israele sia "terra palestinese occupata", l'accordo inevitabilmente fallirà. E ancora una volta, per Israele e la più ampia "comunità internazionale", ci saranno conseguenze veramente tristi per la giustizia internazionale.
In termini prettamente giurisprudenziali, l'effetto immediato di quest'ultimo cessate-il-fuoco consisterà nel concedere ingiustamente alla principale organizzazione terroristica palestinese 1) di ricoprire una posizione in genere rafforzata secondo quanto previsto dal diritto internazionale; e 2) uno status di parità giuridica con Israele, il suo tormentato obiettivo terroristico.
L'effetto a lungo termine sarà quello di compromettere gravemente la legittimità e l'efficacia dello stesso diritto internazionale.
Nessun sistema giuridico autorevole può permettere o incoraggiare un accordo tra un vero e proprio governo nazionale e un'organizzazione inequivocabilmente criminale. A tale riguardo, anche se involontariamente, Israele non dovrebbe fornire ulteriore appoggio al suo implacabile avversario terrorista di Gaza accettando qualsiasi cessazione temporanea delle ostilità. Piuttosto, dovrebbe continuare a fare ciò che è necessario a livello strategico e operativo, ricordando al mondo che il nodo centrale del conflitto qui è tra uno Stato sovrano in pericolo (uno Stato che soddisfa tutti i criteri di legittimità della Convenzione sui diritti e doveri degli Stati, del 1934) e un'organizzazione che non soddisfa nessuno di questi criteri e viola sistematicamente tutte le aspettative vincolanti del diritto internazionale umanitario.
Per definizione, in base alla normativa pertinente, Hamas è un'organizzazione illegale. Questa illegalità insita è facilmente desumibile dalla criminalizzazione di vasta portata del terrorismo ai sensi dell'autorevole diritto internazionale; di conseguenza, essa non può mai essere messa in discussione da Stati terzi ben intenzionati (ad esempio, gli Stati Uniti), anche se lo fanno negli interessi presumibilmente prioritari della pace.
Ci sono sempre state regole di guerra semplici e facilmente determinabili, alcune risalenti a codici ancor più antichi della Bibbia ebraica. Queste regole "perentorie" vincolano tutte le forze ribelli e non solo gli eserciti nazionali. Esse statuiscono che "l'unico obiettivo legittimo che gli Stati dovrebbero sforzarsi di conseguire durante la guerra è indebolire le forze militari nemiche". Si tratta di un principio fondamentale e "perentorio" che fu ripreso con delle modifiche e sfumature nel 1977, nell'art. 48 del Protocollo I di Ginevra.
Queste regole derivano dalla Dichiarazione di San Pietroburgo (1868) che segue limitazioni ancor più precedenti, dettate dalla Prima Convenzione di Ginevra del 1864.
Un documento originale della prima Convenzione di Ginevra del 1864. (Fonte dell'immagine: Wikimedia Commons) |
In ogni conflitto, i mezzi che possono essere utilizzati per colpire un nemico non sono illimitati. Poco importa se chi giustifica la mutilazione intenzionale e l'esecuzione dei non-combattenti in nome di qualche astratto ideale cerchi di mettere in atto certe manipolazioni del linguaggio: queste persone travisano il diritto internazionale. Sempre.
Ogni volta che i ribelli palestinesi (che si tratti di Hamas, Fatah, del Fronte popolare per la liberazione della Palestina o della Jihad islamica non fa nessuna differenza giuridica) rivendicano il diritto di utilizzare "ogni mezzo necessario", essi cercano di trarre in inganno. Anche se le loro pretese di "autodeterminazione nazionale" fossero in qualche modo sensate e sostenibili, rimarrebbero ancora certi limiti autorevoli su armi e obiettivi leciti. Anche se un gruppo di ribelli rivendicasse il diritto legittimo di scatenare un conflitto violento per "l'autodeterminazione" – che è l'argomentazione avanzata da Hamas – quel gruppo non ha diritto a ricorrere all'uso della forza contro gli innocenti. In breve, secondo il diritto internazionale umanitario, i fini non possono mai giustificare i mezzi. Mai.
Forme intenzionali di violenza dirette deliberatamente contro gli innocenti sono sempre più che "meramente" ripugnanti. E inoltre sono sempre illegali.
Se è vero che certe ribellioni possono essere opportunamente considerate lecite, ogni ammissibile ricorso all'uso della forza deve comunque conformarsi all'inequivocabile diritto bellico.
Anche se le incessanti grida palestinesi di "occupazione" sono state in qualche modo ragionevoli e non inverosimili, ogni pretesa di rivendicare il diritto di opporsi a Israele "con ogni mezzo necessario" resterebbe totalmente infondata. Le grida palestinesi di "occupazione" sono inverosimili non solo perché Israele si è ritirato da Gaza nel 2005 – mantenendo un blocco parziale solo per la propria autodifesa, che come ora si può vedere era motivato – ma anche perché il presunto diritto palestinese all'autodeterminazione è di fatto ignorato da una lunga storia di rivendicazioni ebraiche su quella terra. Queste rivendicazioni territoriali includono la Dichiarazione di Balfour del 1917, il successivo Trattato di Sanremo del 1920 e il Mandato britannico sulla Palestina.
Il diritto internazionale ha una forma e un contenuto molto precisi. Non può essere inventato e reinventato da gruppi terroristici o da aspiranti Stati (la "Palestina"), solo per soddisfare i loro presunti interessi geostrategici. Il 29 novembre 2012, l'Autorità palestinese (Ap) ha ottenuto dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il riconoscimento di "Stato osservatore non membro", ma da allora l'Ap si è dichiarata inesistente. Il 3 gennaio 2013, Mahmoud Abbas ha "decretato" formalmente l'assorbimento della "ex Autorità palestinese nello Stato di Palestina". Se questa azione amministrativa ha effettivamente eliminato anche a livello giurisprudenziale l'Autorità palestinese, di certo non è riuscita a creare un nuovo Stato con un semplice fiat. Sono state disattese le aspettative relative al diritto internazionale – codificate, tra le altre cose, dalla Convenzione sui diritti e i doveri degli Stati (Convenzione di Montevideo) del 1934.
Lasciando da parte il rifiuto illegale di Abu Mazen di osservare l'obbligo vincolante di negoziare la piena sovranità direttamente con Israele, i requisiti di "Stato osservatore non membro" sono ben al di sotto delle aspettative dell'unico trattato internazionale autorevole in fatto di statualità. Questo documento è la Convenzione sui diritti e i doveri degli Stati del 1934.
I movimenti di liberazione nazionale che non riescono a superare il test del "giusto mezzo" non sono mai legittimi. "Il giusto mezzo" si riferisce a uno dei due criteri che devono essere applicati a qualsiasi movimento insurrezionale. Si riferisce alle armi e agli obiettivi coinvolti, come previsto dalla Dichiarazione di San Pietroburgo. L'altro criterio, "la giusta causa", ha a che fare con i due concetti di guerra giusta e ingiusta: una causa motiva un appropriato ricorso all'uso della forza?
Pur accettando la tesi che i gruppi insurrezionali palestinesi soddisfano in qualche modo i criteri della "giusta causa", va osservato che essi non soddisfano gli standard limitativi di discriminazione, proporzionalità e necessità militare. Questi standard sono applicati ai movimenti insurrezionali dall'art.3 delle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949 e anche dai due protocolli autorevoli di queste convenzioni del 1977.
Questi standard vincolano altresì tutti i combattenti in virtù del più ampio diritto internazionale consuetudinario e convenzionale, compreso l'art.1 del Preambolo della quarta Convenzione dell'Aja del 1907. Questa norma, chiamata "clausola Martens" rende tutte le persone responsabili della difesa delle "leggi dell'umanità" e dei "precetti della coscienza pubblica".
Ogni uso della forza da parte degli insorti palestinesi deve essere giudicato due volte: una volta riguardo alla giustezza dell'obiettivo e un'altra riguardo alla giustezza dei mezzi violenti utilizzati.
I sostenitori americani ed europei di uno Stato palestinese continuano a credere che questo ventitreesimo paese arabo sarà in qualche modo parte di una "soluzione dei due stati", nonostante le sue continue smentite che non sarà così. Questa strana ipotesi è anche contraddetta quasi ovunque nel mondo arabo e islamico.
Reati di terrorismo del genere commessi quotidianamente da Hamas impongono una cooperazione universale al fine di procedere ad arresti e infliggere pene. Poiché secondo il diritto internazionale gli Stati sono considerati come coloro che puniscono delle "gravi violazioni", tutti gli Stati sono tenuti a scovare, perseguire o estradare ogni singolo terrorista. In nessun caso, ai sensi del diritto internazionale, agli Stati è permesso di definire i terroristi "combattenti per la libertà".
In ultima analisi, le Nazioni Unite e la più ampia comunità internazionale ora dovrebbero lavorare in tandem con Israele per delegittimare e disarmare Hamas, e non per mediare un cessate-il-fuoco intrinsecamente illegale con un'organizzazione criminale.
La migliore opzione per la comunità internazionale sarebbe quella di aderire al principio secondo il quale Hamas è un'organizzazione (terroristica) intrinsecamente illegale. Vi è un obbligo di civiltà – come con Boko Haram, al-Qaeda e lo Stato islamico – di opporsi a questa forma di criminalità internazionale.