Un decennio dopo che gli operativi di al-Qaeda attaccarono gli Stati Uniti, il mondo arabo e musulmano è stato scosso da una serie di rivolte popolari. La cosiddetta "Primavera araba" scoppiata in Tunisia, è dilagata in Libia e in Egitto dove i dittatori di lunga data sono stati destituiti e il regime di Bashar al-Assad in Siria appare condannato a uno stallo cruento a sfavore degli insorti che guadagnano fortemente terreno.
È forse troppo presto per asserire definitivamente che la "Primavera araba" sia una diretta conseguenza – che nessuno poteva immaginare – del dirottamente di quegli aerei passeggeri finiti contro i grattacieli di New York. Alla fine, però, il successo politico del movimento dei Fratelli musulmani e dei partiti a loro legati in Medio Oriente, potrebbe essere considerato un effetto collaterale e strategicamente anticipato da Osama bin Laden e dalla sua rete di al-Qaeda, se questi speravano di sprofondare in una guerra. Essi possono anche aver sperato che spirali di guerra e crisi belliche avrebbero destabilizzato i regimi in Medio Oriente e in Nord Africa a vantaggio degli islamisti della regione.
Gli attacchi terroristici dell'11 settembre non esplosero di punto in bianco. I diciannove dirottatori dei quattro aerei di linea americani erano tutti musulmani arabi scelti dalla leadership di al-Qaeda e finanziati e addestrati per tale operazione. La loro missione fu un'azione di guerra, attentamente pianificata come l'attacco di Pearl Harbor sferrato sessant'anni prima, il 7 dicembre 1941, dalla Marina imperiale giapponese. Le differenze tra i due atti di aggressione sono molte, ma il fatto sorprendente è che gli Stati Uniti in entrambi casi furono visti come il nemico da trascinare nella guerra. Le svariate risposte del governo e della popolazione statunitense a questi due atti di aggressione denotano altresì quanto la società americana sia enormemente cambiata negli anni successivi.
Ciò che riveste maggiore interesse è che la maggior parte degli americani quella mattina di settembre era davvero ignara dei forti tumulti che infuriavano nel mondo arabo, in generale, e in Medio Oriente, in particolare, e anche la maggior parte della popolazione americana nel dicembre 1941 era all'oscuro della politica giapponese e della reale portata dell'impegno militare che il Giappone aveva già assunto nel continente asiatico.
Il noto studioso di Medio Oriente Bernard Lewis, in un articolo titolato "Le radici della rabbia musulmana"[i] è stato forse il primo a rilevare un atteggiamento sempre più ostile tra i musulmani, in generale, e gli arabi e gli iraniani, in particolare, verso l'Occidente e soprattutto verso gli Stati Uniti.
"La rabbia musulmana" era evidente nella rivoluzione iraniana del 1979 che portò alla destituzione dello Scià e della monarchia. Lo Scià era stato un fedele alleato degli Stati Uniti in una regione dotata di risorse petrolifere che le conferivano un'immensa importanza strategica. La rivoluzione, però, sotto la leadership di un attempato Ayatollah Ruhollah Khomeini – del quale la maggior parte degli americani, compresi quelli del governo, sapeva molto poco – divenne islamica e antioccidentale.
Anche nel 1979, ci fu un assedio della Kaaba, la moschea sacra della Mecca. L'assedio fu avviato da militanti armati in seno all'Arabia Saudita che erano infuriati per la corruzione della famiglia reale saudita e per l'influenza occidentale nel regno. L'assedio della Kaaba – il luogo più sacro dell'Islam e la meta del pellegrinaggio annuale dei fedeli musulmani – e la violenza che ne seguì scioccarono i musulmani di tutto il mondo.
Due anni dopo, nell'ottobre 1981, il presidente egiziano Anwar Sadat fu assassinato durante una parata militare da un ufficiale dell'esercito che aveva legami con un'ala estremista del movimento fondamentalista islamico in Egitto guidata dai Fratelli musulmani. Il movente dell'omicidio di Sadat fu in parte legato al trattato di pace firmato con Israele due anni prima.
Il Medio Oriente e tutto il mondo musulmano sono stati anche scossi da rivolte popolari, violenze, terrorismo e guerre. La lista è lunga. L'indipendenza dal dominio coloniale europeo ebbe delle conseguenze contrarie alle aspettative di prosperità in un futuro indipendente. I disordini tra i musulmani erano anche i sintomi della loro rabbia, delusione e malcontento per la situazione in cui versavano i loro paesi d'origine. L'indipendenza non ha apportato nessun miglioramento sostanziale alle condizioni sociali ed economiche della maggior parte delle persone. Piuttosto, la situazione è peggiorata col crescere della popolazione e l'aumento della povertà. Le promesse di libertà e democrazia con la fine del dominio coloniale europeo sui musulmani furono spesso smentite dalle dittature fiorite nei nuovi Stati indipendenti a maggioranza musulmana. Ci sono state guerre – paesi arabi contro Israele, Pakistan contro India – ingaggiate con eserciti non musulmani che hanno ripetutamente umiliato le forze militari dei paesi musulmani.
Lewis ha descritto con molta partecipazione il senso di frustrazione musulmana, o di rabbia, derivante dalla mancata soddisfazione dei requisiti della modernità di cui l'Occidente è stato pioniere nella politica, nelle arti e nelle scienze. Egli ha parlato di Islam come "una delle grandi religioni del mondo" e ha sottolineato che esso "ha portato conforto e pace della mente a innumerevoli milioni di uomini e donne". Lewis ha poi notato che l'Islam
"ha dato dignità e senso a tante vite sciatte e investite dalla miseria. Ha insegnato a popoli di razze diverse a vivere nella fratellanza e a genti di credo diverso a vivere fianco a fianco in ragionevole tolleranza. Ha ispirato una grande civiltà in cui altri, oltre ai musulmani, hanno vissuto una vita creativa e utile e che, con suo successo, ha arricchito il mondo intero". Eppure, Lewis ha osservato che ci sono stati periodi nella storia dell'Islam "in cui esso ha ispirato nei suoi seguaci un sentimento di odio e violenza. È una sventura per noi che parte, se non tutto o la maggioranza, del mondo musulmano stia ora attraversando un periodo del genere, e che molto, anche se non tutto, dell'odio è diretto contro di noi".
Questa era la situazione dei paesi musulmani all'inizio dell'ultimo decennio del XX secolo. Questa rabbia esistente fra i musulmani, alimentata da rancori e dalla consapevolezza delle passate umiliazioni subite per mano delle potenze occidentali, è diventata minacciosa. Sebbene sia un ebreo e un outsider, Lewis interpreta bene la situazione del mondo musulmano. E non è stato il solo. Anche i pensatori musulmani avevano riflettuto sulla condizione della loro cultura e civiltà e su quanto il mondo musulmano fosse arretrato rispetto all'Occidente non musulmano. La disparità tra l'Occidente da un lato e l'Islam o il mondo musulmano dall'altro era talmente smisurata da sollevare degli interrogativi sul fatto che il mondo musulmano fosse in declino, cadente e, più in particolare, se i musulmani dovessero rinunciare alla loro cultura per abbracciare la modernità e seguire l'Occidente.
Agli inizi del XX secolo, prima che il primo conflitto mondiale trasformasse l'Europa in un campo di battaglia, Muhammad Iqbal (1876-1938) parlò in versi dell'immenso potere, della bellezza e della passione per il malessere del mondo musulmano. Iqbal, venerato come il poeta-filosofo del Pakistan, era indiano di nascita, e compose le sue poesie in urdu e in persiano.
Nei suoi due lunghi e controversi poemi, ancora spesso citati, Shikwa (Protesta) e Jawab-i-Shikwa (Risposta alla protesta),[ii] Iqbal si è soffermato sull'impossibilità da parte dei musulmani di mantenere il dinamismo dell'Islam e i valori della sua civiltà. In Risposta, il poeta fa replicare in modo canzonatorio Dio ai musulmani che protestano per essere stati ignorati e dimenticati, nonostante la loro fedeltà nei momenti buoni e cattivi. Dio, nei versi appassionanti di Iqbar, ricorda ai musulmani i successi conseguiti quando erano dinamici nell'azione e nel pensiero, quando hanno mostrato audacia, creatività e hanno affrontato dei rischi.
Iqbal non è stato il solo a pronunciarsi a favore di una riforma e del risveglio della civiltà islamica dal suo torpore. Iqbal ammirava Mustafa Kemal Atatürk, il fondatore della Repubblica turca moderna all'indomani della Prima guerra mondiale. Kemal era un ardente modernizzatore ed era entusiasta di adottare i valori occidentali della cultura e della politica. Egli abolì le norme religiose basate sulla Sharia.
Ma ce ne sono stati altri come Malek Bennabi (1905-1973), un algerino nato a Constantine e cresciuto a Parigi. Bennabi ha riflettuto sulle possibili cause del declino dell'Islam come civiltà e ha arguito, come fece Iqbal, che la perdita di dinamismo interno e del pensiero critico aveva impoverito i musulmani. Egli concepiva una visione ciclica della storia, basata sulla visione elaborata da Ibn Khaldun, l'influente pensatore tunisino del XIV secolo, secondo cui la nascita della civiltà è seguita da una fase di crescita, espansione, contrazione, perdita di movimento e infine arriva la scomparsa. Bennabi ha espresso delle osservazioni sulla civiltà islamica rilevando che non appena la pressione coranica "si è attenuata, a poco a poco il mondo musulmano si è fermato, come un motore che aveva consumato il suo ultimo litro di benzina".[iii]
Durante la prima metà del XX secolo, le opinioni dei pensatori musulmani modernisti, come Iqbal e Bennabi, erano predominanti nel mondo musulmano. Sempre secondo Lewis, "All'inizio, la risposta musulmana alla civiltà occidentale fu di ammirazione ed emulazione, di rispetto per le conquiste occidentali e desiderio d'imitarle e adottarle".[iv]
Ma una visione alternativa emerse tra i musulmani che rifiutavano l'Occidente e tutti i suoi valori culturali e politici. Questa ottica alternativa rievocava un'immagine idealizzata dell'Islam del primo secolo (VII-VIII secolo d. C.), quando l'impero arabo-islamico era in formazione e i governanti arabi avevano elaborato il modello della civiltà islamica. Secondo questa visione, l'Occidente era un nemico implacabile dell'Islam e dei musulmani, pertanto, occorreva cacciare le potenze occidentali dalle terre musulmane e porre fine all'influenza occidentale fra i musulmani. Inoltre, questa concezione prendeva in considerazione la necessità di un jihad (guerra santa) per conseguire l'obiettivo di restituire le terre musulmane al dominio della la Sharia e considerava il jihad come uno dei pilastri centrali dell'Islam – contro il consenso tradizionale degli studiosi religiosi.
Questa prospettiva è stata il seme di ciò che sarebbe diventato e che poteva essere a giusto titolo descritto come islamismo contro Islam. Due gli esponenti più importanti di questa visione abbracciata dalla maggioranza sunnita: Hasan al-Banna (1906-1949), il fondatore dei Fratelli musulmani e Sayyed Qutb (1906-1966); e Maulana Maududi (1903-1979), il fondatore della Jamaat-i-Islami nel subcontinente indiano.
In Iran, l'Ayatollah Khomeini (1902-1989) divenne l'esponente più importante dell'islamismo tra la minoranza sciita.
Verso la metà del secolo scorso, alla fine del colonialismo, nelle terre musulmane,[v] si tentò di realizzare una rapida modernizzazione attraverso l'adozione delle idee occidentali. Ci fu un forte interesse a costruire industrie pesanti, dighe, ad avviare progetti idroelettrici, incoraggiare l'urbanizzazione, espandere le reti di comunicazioni, investire nell'istruzione superiore, favorire l'istruzione e l'occupazione femminile, e formare eserciti moderni. Ma questi tentativi non furono accompagnati da un impegno altrettanto urgente delle élites dominanti a favore della democrazia. Questa divisione tra musulmani si rivelò essere una formula per la collisione finale tra chi abbracciava la democratizzazione e chi si opponeva a essa, a causa degli effetti negativi sullo sconvolgimento delle società tradizionali.
Spiegando l'inversione dei riformatori musulmani e dei modernizzatori, Lewis ha ancora osservato,
"Per un vasto numero di mediorientali, i metodi economici di tipo occidentale hanno provocato la povertà, le istituzioni politiche di tipo occidentale hanno portato alla tirannia, e anche le guerre di tipo occidentale hanno portato alla sconfitta. È più che sorprendente, che tanti erano disposti ad ascoltare le voci che dicevano loro che i vecchi modi islamici sono stati i migliori e
che la loro unica salvezza era quella di mettere da parte le pagane innovazioni dei riformatori e tornare al vero cammino che Dio aveva stabilito per il suo popolo".[vi]
V.S. Naipaul, il celebre scrittore insignito nel 2001 del Premio Nobel per la letteratura, nel 1981 pubblicò un diario dei suoi viaggi nelle terre musulmane. La sua opera Among the Believers [pubblicata in italiano da Rizzoli nel 1983 con il titolo Tra i credenti: viaggio nell'Islam, N.d.T.] è una testimonianza di come il mondo musulmano fosse in subbuglio. Il suo viaggio lo condusse a Teheran nel bel mezzo di una crisi, quando gli studenti iraniani, seguendo le prescrizioni di stampo fondamentalista contenute nei sermoni dell'Ayatollah Khomeini, presero in ostaggio cinquanta americani nell'ambasciata statunitense e li trattennero per oltre un anno. Naipaul descrisse questa situazione dicendo che "il mondo musulmano era in ebollizione".[vii]
Poiché la rivoluzione iraniana del 1979 divenne un punto di svolta per il mondo musulmano, gli oppositori della modernizzazione di tipo occidentale presero l'iniziativa politica mentre i riformatori cominciarono a perdere terreno e a mettersi sulla difensiva.
Nel 1971, il Pakistan, che allora era lo Stato musulmano più popoloso, si divise a causa di un cruento conflitto civile e di una guerra autodistruttiva con l'India. Questa violenza tra musulmani si trasformò in un genocidio, con massacri in Bangladesh perpetrati dall'esercito pakistano, dopo che la popolazione del Bangladesh (allora Pakistan orientale) votò alle elezioni nazionali per un governo da formare democraticamente, ma i generali non accettarono l'esito elettorale, scatenando disordini e brutalità da parte dell'esercito.
Nei decenni che seguirono, la violenza in seno al mondo musulmano divenne abituale. La modernizzazione arrivò a essere vista con disprezzo e i modernizzatori furono accusati della pessima situazione in cui versavano i musulmani. La "rabbia musulmana", invece, pretendeva un ritorno al passato.
Questo nuova opinione diffusa si riflesse nel Dichiarazione del Cairo del 5 agosto 1990, approvata dai ministri degli Esteri dei paesi membri dell'Organizzazione per la cooperazione islamica. Intesa come una risposta alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo delle Nazioni Unite del 1948, la Dichiarazione del Cairo stabiliva che tutti i diritti e le libertà per i musulmani derivassero dalla Sharia. La "Sharia" essa afferma "è l'unica fonte di riferimento per interpretare o chiarificare gli articoli della dichiarazione stessa". Ciò comportò un lungo e scoraggiante indietreggiamento dei modernizzatori che, come Muhammad Iqbal, avevano salutato con entusiasmo la creazione della Repubblica turca da parte di Mustafa Kemal Atatürk circa settant'anni prima.
Col tempo, il secondo millennio volgeva al termine, l'agitazione interna al mondo musulmano aveva raggiunto un punto di rottura. La lunga guerra decennale tra l'Iraq di Saddam Hussein e l'Iran di Khomeini degli anni Ottanta mostrò la ferocia insita nei conflitti settari tra i musulmani. I paesi arabi erano divisi su come affrontare Israele una volta che l'Egitto aveva fatto pace con lo Stato ebraico. L'invasione russa dell'Afghanistan del 1979 e la lunga guerra che mise in moto l'invasione suscitarono sentimenti islamici. Paradossalmente, in questo esempio, la "rabbia" musulmana fu sfruttata dagli Stati Uniti per infliggere una sonora sconfitta all'estensione imperiale dell'Unione Sovietica.
L'ammissione di Mosca della sconfitta e il ritiro sovietico dall'Afghanistan incoraggiarono i musulmani militanti dal momento che essi insistevano a dire che il loro jihad aveva sconfitto una superpotenza militare. Questi combattenti musulmani portarono all'estremo il messaggio dei Fratelli musulmani e della Jamaat-i-Islam, ossia che l'Islam è jihad e il jihad è compito dei musulmani. Come i bolscevichi nel 1917, i jihadisti di al-Qaeda divennero rivoluzionari in fretta. Essi vollero dare impulso alla storia alle loro condizioni e arguirono che il confronto con l'Occidente e il suo rappresentante più potente, gli Stati Uniti, era inevitabile e intendevano accelerarlo. Un ritorno all'Islam autentico, prima che l'Occidente e i suoi modi corrotti contaminassero la culla dell'Islam, necessitava il jihad. Di conseguenza, al-Qaeda sviluppò una rete di musulmani militanti in un clima politico volto a diffondere la rabbia musulmana. Spinta dalla sua visione utopica di una società islamica, al-Qaeda e i suoi sostenitori si prepararono a una guerra asimmetrica combattuta attraverso il terrorismo indiscriminato contro l'Occidente dai combattenti islamici di Allah.
Il crollo dell'Unione Sovietica colse l'Occidente di sorpresa. Qualcuno vide la fine della guerra fredda come la fine della storia. Dopo un lungo, impegnativo ed esaustivo sforzo che fu necessario per contenere il comunismo sovietico, gli americani si ripiegarono su se stessi. Pochi in Occidente rivolsero particolare attenzione ai problemi che covavano in seno al mondo musulmano e che stavano per esplodere.
L'11 settembre 2001 fu un ritorno alla storia con una vendetta. Non è un errore considerare l'11 settembre un atto malvagio commesso da uomini empi che atteggiandosi a uomini di fede agirono per una causa mossa dalla fede religiosa. Il terrorismo in nome dell'Islam rivelò il marciume interno di una civiltà alle prese con il proprio fallimento.
Il mondo moderno, che molti musulmani detestano e osteggiano, non può essere "non inventato". Nonostante la loro rabbia, i musulmani devono affrontare una sfida in un nuovo secolo che è sostanzialmente identica a quella descritta da Iqbal all'inizio del XX secolo. È anche un po' simile a quella che i cristiani e il Cristianesimo fronteggiarono oltre cinque secoli fa. Questa sfida consiste nel determinare come mantenere la fede nell'ambito dei progressi rivoluzionari avvenuti nella filosofia e nella scienza.
Il Cristianesimo rispose alla sfida all'alba di una nuova era, che finì per essere definita Illuminismo, separando la fede dalla politica. Una volta che il mondo musulmano smaltirà la sua rabbia farebbe meglio ad attingere all'esperienza del Cristianesimo nel conformarsi alla modernità.
Il mondo musulmano non può rimanere in ebollizione all'infinito. Non c'è una risposta pronta all'interrogativo di come una civiltà possa essere risanata o quale grimaldello andrebbe inserito per riparare una civiltà in frantumi. Eppure, i musulmani devono trovare un modo per adattare i loro costumi, i valori e le loro convinzioni al mondo moderno e questo sarà il loro fardello per gran parte del secolo attuale.
L'Occidente, tuttavia, non può chiamarsi fuori mentre il mondo musulmano affronta i suoi problemi. Come fece l'Occidente nei suoi rapporti con l'Unione Sovietica durante la guerra fredda, esso ha ora bisogno di elaborare una serie di politiche caute, sicure e rigorose per il rapporto da instaurare con il mondo musulmano negli anni a venire.
Poiché i musulmani furibondi non riescono a fermare da soli la loro discesa all'inferno, l'Occidente è inevitabilmente coinvolto nei problemi del mondo musulmano.
***
Due autori – uno storico marxista britannico, Eric Hobsbawm, e uno storico americano, John Lukacs – hanno messo tra parentesi il Novecento fra lo scoppio della Prima guerra mondiale e il crollo dell'Unione Sovietica.[viii]
Al contrario, il XIX secolo fu l'epoca delle potenze europee. La Gran Bretagna, come potenza preminente, dominava i mari attraverso i continenti. Le due guerre mondiali del secolo scorso potrebbero essere considerate ora come un'enorme conflagrazione terminale delle potenze europee. L'era dell'Europa si concluse nel 1945 con il continente diviso, con gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica bloccati in una gara per la supremazia e i possedimenti coloniali delle potenze europee in Asia e in Africa che acquistavano l'indipendenza.
In questa prospettiva della storia, la rivoluzione bolscevica o comunista del 1917 in Russia fu un evento fondamentale come lo scoppio della Prima guerra mondiale. La guerra mostrò che la Russia zarista era l'anello più debole del sistema capitalistico e consentì alle rivolte comuniste che si opponevano al governo zarista di avere successo. La comparsa dell'Unione Sovietica come una potenza comunista fu una minaccia per l'ordine politico liberaldemocratico basato sull'economia capitalista. L'Unione Sovietica, però, fu offuscata durante la prima metà del XX secolo, malgrado la minaccia che essa rappresentava per l'Europa, dall'ascesa e dal successo del nazionalsocialismo o nazismo, in Germania, sotto Hitler. Il dittatore tedesco squilibrato portò la Germania alla rovina e gettò le basi per la guerra fredda tra gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica. Questo conflitto si concluse solo quando l'Unione Sovietica crollò quasi cinque decenni più tardi.
Il grande obiettivo strategico degli Stati Uniti durante gli anni della guerra fredda era quello di contenere qualsiasi espansione dell'Unione Sovietica al di là dei guadagni conseguiti da Mosca durante la Seconda guerra mondiale. Denominata "la politica del contenimento", questa dottrina tracciò una linea che correva parallela alla frontiera dei paesi assoggettati all'Unione Sovietica in Europa e in Asia. Le minacce reali o percepite dell'espansione sovietica al di là di questa linea richiesero una risposta adeguata da parte dell'Occidente. Questa strategia portò l'America a combattere nella penisola coreana, in Vietnam, nelle guerre per procura in Africa e nell'America Centrale e a prendere parte alla crisi dei missili di Cuba. Il confronto finale tra le due superpotenze avvenne in Afghanistan, quando l'Unione Sovietica inviò truppe a sostegno dei suoi alleati afgani a Kabul e Washington armò la resistenza afgana con l'aiuto dell'Arabia Saudita e del Pakistan.
Gli anni della guerra fredda incisero anche sulla politica interna ed estera dei paesi musulmani. I paesi del Medio Oriente e del Golfo Persico, che si trovavano sul perimetro meridionale dell'Unione Sovietica e a grande distanza dagli Stati Uniti, possedevano una gran quantità di combustibili fossili facilmente accessibili – secondo alcune stime, più di un terzo delle riserve mondiali conosciute.
Accanto a un'Europa divisa, questa era la regione più vulnerabile alla penetrazione sovietica e la più importante a livello strategico per gli interessi dell'Occidente. Quest'ultimo ha avuto una lunga e inquietante storia di relazioni con i popoli della regione e con la loro religione e cultura. Ma l'ombra dell'Unione Sovietica che incombeva sulla regione impose agli Stati Uniti di mascherare le differenze e tutte le possibili difficoltà esistenti fra loro e i paesi a maggioranza musulmana situati tra il Mar Rosso e il Golfo Persico – così come quelli che si estendevano tra la Turchia e il Pakistan – e far avvicinare questi paesi a Washington attraverso degli accordi di difesa. Ciò dettò la scelta di guardare alla politica della regione attraverso il prisma delle preoccupazioni relative alla sicurezza: autorizzando i governanti di quei paesi a commettere violazioni dei diritti umani. In particolare, implicò la necessità di ignorare quasi ogni comportamento inaccettabile da parte di chi possedeva riserve petrolifere, finché costoro si fossero impegnati a cooperare con gli Stati Uniti per garantire gli interessi occidentali nella regione.
La leadership politica e militare di Washington e di altre capitali europee sembra aver arguito all'inizio della guerra fredda che la religione e le tradizioni culturali dei popoli della regione – l'Islam e i musulmani – fossero intrinsecamente ostili al comunismo ateo e, pertanto, essi sarebbero stati gli alleati naturali dell'Occidente contro l'Unione Sovietica. Questa visione fu in gran parte incontrastata e servì bene gli interessi convergenti delle potenze occidentali e dei governanti politici dei paesi musulmani che appoggiavano lo status quo politico sia a livello nazionale sia in termini di stabilità regionale.
Se la nostra conoscenza del mondo e la sua utilità è in genere condizionata dai nostri bisogni, beh, questi ultimi potrebbero benissimo essere illimitati – ma le nostre risorse sono limitate e la nostra conoscenza incompleta. Durante i decenni della guerra fredda, la conoscenza vicendevole fra le superpotenze e gli attori regionali, della situazione attuale e ciò che essa implicava in termini di rispettivi bisogni, nonché la conoscenza delle conseguenze non intenzionali delle loro scelte e delle loro azioni, furono distorte dalla logica della stessa guerra fredda.
Il rapporto fra Occidente moderno e mondo musulmano è di per sé impari. L'Occidente moderno è frutto del Cristianesimo con la propria storia distinta di prestiti e influenze esercitate dall'antica Grecia, dai romani, dagli ebrei e dai pensatori politici dell'Europa. Il mondo musulmano, anche se vicino all'Europa, si è sempre visto come una civiltà distinta e separata dall'Occidente. La storia di queste due civiltà è piena di rivalità, conflitti, sospetti e rivendicazioni di torti commessi da entrambe le parti. La guerra fredda ha mascherato questa storia solo provvisoriamente; ma una volta che la guerra fredda si è conclusa, il passato travagliato delle due diverse civiltà, storicamente in contrasto, era destinato a riemergere.
La guerra fredda ha comunque distorto le immagini che il mondo occidentale e musulmano avevano l'uno dell'altro. L'Occidente, liberale, democratico e laico, si rese conto che il resto del mondo stava adottando gradualmente i suoi valori, in linea con l'idea di progresso nella storia. Il crollo dell'Unione Sovietica corroborò l'opinione che gli ideali peculiari dell'Occidente fossero davvero universali e che, nonostante le differenze tra le culture, il mondo era diretto verso la globalizzazione sotto la guida dell'Occidente.
Quest'ottimismo ha trovato riscontro, ad esempio, nel libro di Francis Fukuyama La fine della storia e l'ultimo uomo, pubblicato dopo il crollo dell'Unione Sovietica, ed è stato confermato dal discredito del comunismo come ideologia. Fukuyama ha rilevato che i paesi più sviluppati del mondo erano anche delle democrazie di successo e delle società liberali. Il futuro nel nuovo secolo, senza rivalità ideologiche fra le grandi potenze, sembrava promettente, dal momento che le ideologie in competizione avevano solo generato conflitti nel mondo. "Un mondo fatto di democrazie liberali dovrebbe avere incentivi alla guerra molto ridotti", scriveva Fukuyama, "dato che ogni nazione dovrebbe riconoscere la legittimità dell'altra".[ix]
Nel bel mezzo dell'ottimismo prevalente alla fine della guerra fredda, anche se tale ottimismo non era condiviso da tutti in Occidente, c'era poca preoccupazione per le popolazioni appartenenti a culture non occidentali che interpretavano in modo differente il significato o la lezione della storia. In tutto il mondo ci furono problemi durante il decennio successivo alla caduta del Muro di Berlino del 1989 – i conflitti locali nei Balcani e la disintegrazione della Jugoslavia nelle sue parti costituenti basate sulle identità etniche e religiose; i conflitti causati dagli Stati, come in Somalia, Ruanda e in Sudan; la guerra per l'annessione del Kuwait e le sue conseguenze dato che l'Iraq di Saddam Hussein, da potenza insoddisfatta, minacciava i suoi vicini; i conflitti tribali in Afghanistan, giacché i talebani consolidarono il loro potere su Kabul e sul resto del paese; i disordini palestinesi; i risentimenti arabi; l'insicurezza israeliana; l'acquisizione di armi nucleati da parte dell'India e del Pakistan; le minacce nucleari della Corea del Nord in Estremo Oriente e l'ascesa della Cina e dell'India come potenze emergenti – ma tutti questi problemi furono considerati gestibili in seno alla rubrica delle Nazioni Unite e della diplomazia delle "grandi potenze".
Nella sagace descrizione di V.S. Naipaul si apprende che la preoccupazione per la guerra fredda non permise ai leader e ai consiglieri politici di Washington e delle altre capitali occidentali di valutare correttamente le minacce a lungo termine del mondo musulmano "in ebollizione". La politicizzazione dell'Islam e i suoi effetti sull'ordine sociale del mondo musulmano non furono vagliati a sufficienza. Pertanto, il corso degli eventi che portò all'11 settembre e le sue conseguenze furono sconvolgenti. A oltre dieci anni di distanza dall'11 settembre, questo shock si è ridotto notevolmente ma l'Occidente continua a essere incerto sul da farsi per contenere – se non sconfiggere – i musulmani radicali o gli islamisti, mentre essi acquisiscono influenza e conseguono maggiore potere.
Tuttavia, l'Occidente non può continuare a negare la minaccia – né può prendere le distanze da essa – che l'Islam politicizzato, o l'islamismo, costituisce per gli interessi occidentali nel mondo musulmano, così come per quei musulmani che desiderano sviluppo economico, democrazia e pace per le loro società.
Indipendentemente da come gli Stati Uniti, da soli o alla guida dell'Occidente, rimarranno coinvolti nel mondo musulmano, l'islamismo richiede attenzione e un'adeguata risposta a livello ideologico e militare, anche nel XXI secolo, proprio come fecero nel XX secolo il comunismo e l'Unione Sovietica.
***
I problemi illimitati e proliferanti nel nostro mondo sono comunemente considerati di natura tecnica e sostanzialmente anche le loro soluzioni: una modernizzazione fatta di macchine e computer.
Ma se l'11 settembre ha un significato, oltre all'idea del senso di rabbia che afferra una persona e la costringe a commettere dei mostruosi atti terroristici, allora, di certo, ci lancia il messaggio di guardarci bene dal ridurre i nostri problemi a questioni meramente di natura tecnica. Non abitiamo in un mondo senz'anima. L'uomo, per sua natura, è mosso non solo da un desiderio dell'anima, per quanto a volte ciò possa essere fuorviante, ma anche da bisogni materiali e calcoli utilitaristici.
Irving Babbitt, un critico letterario e un pensatore di spicco del nuovo umanesimo di Harvard durante i primi decenni del XX secolo, inizia così la sua introduzione al volume Democrazia e leadership:
"Secondo Lloyd George, il futuro sarà ancor più preso esclusivamente dai problemi economici di quanto lo sia il presente, soprattutto dai rapporti fra capitale e lavoro. In tal caso, si è tentati di rispondere che il futuro sarà molto superficiale. Se studiati con accuratezza, ci si accorgerà che i problemi economici si sovrapporranno ai problemi politici, i problemi politici a loro volta si sovrapporranno ai problemi filosofici e i problemi filosofici saranno alla fine indissolubilmente legati ai problemi religiosi".[x]
Le parole di Babbitt servono a ricordare che alla fine l'uomo "non vive di solo pane", che la sua rabbia è probabilmente maggiore quando egli avverte che la sua visione del mondo è sbagliata, va in frantumi o è fatta a pezzi. In quei momenti, egli non sarà consolato né riuscirà a prendere delle misure estreme per correggere ciò che, anche erroneamente, egli crede essere sbagliato.
Il mondo musulmano è in frantumi e, in ultima analisi, secondo gli islamici il problema di risanare il loro mondo, è una questione di natura religiosa. Se il loro credo contrasta con il mondo in cui vivono, allora la loro fede deve essere riformata, perché il mondo non può essere costretto a conformarsi al loro credo.
Il mondo musulmano non è monolitico: è estremamente vario. Esistono visioni contrastanti fra i musulmani sul modo di considerare l'Islam come loro fede religiosa – come una questione di credo personale o come una forma di ideologia. A grandi linee, la lotta esistente al momento in seno all'Islam – in cui incombono pesantemente l'11 settembre, gli attentati dinamitardi di Londra del 7 luglio e quelli contro i treni carichi di pendolari a Madrid, le decapitazioni dell'Isis e altre atrocità – è fra i musulmani che abbracciano i valori del mondo moderno in termini di libertà, diritti individuali, uguaglianza di genere e democrazia, da un lato, e i musulmani che si oppongono a questi valori e insistono su un sistema giuridico basato sulla Sharia, dall'altro. Questa lotta, dunque, riguarda proprio il modo in cui i musulmani interpretano l'Islam: sia come fede sia come tradizione, o come un sistema complessivo di convinzioni religiose e pratica della fede che è antitetico alle norme del mondo moderno. Per i musulmani che abbracciano la modernità, l'Islam è una questione di fede personale, e non un sistema politico; i musulmani che si oppongono alla modernità considerano l'Islam un'ideologia, come islamismo, e di conseguenza essi sposano le idee di Maududi e Hasan al-Banna, Sayyed Qutb e Khomeini, in cui l'Islam è un sistema di valori totalitario.
I semi di questa lotta – o più opportunamente, i criteri basilari del modo di intendere l'Islam come un'ideologia, e in termini di politica e potere – possono essere fatti risalite ai primi anni dell'Islam e della storia musulmana. Negli ultimi anni, però, a partire dalla metà del XX secolo, i musulmani sono stati costretti ad affrontare le sfide della modernità, quando, dopo il dominio coloniale europeo, le società musulmane divennero indipendenti. Al di là di pochi paesi del Medio Oriente ricchi di petrolio, i paesi musulmani sono pressoché senza eccezione poveri e sottosviluppati, e relativamente arretrati a livello culturale, politico e tecnologico. In generale, ai musulmani è stata negata la libertà da parte di coloro che detengono il potere e hanno poca esperienza della libertà intesa come libertà individuale.
Pertanto, abbiamo un Islam inteso dagli islamisti come un sistema di valori totalitario, uno strumento politico di potere e autorità, "immutabile" e "autorevole" – e ogni musulmano che mette in discussione anche questa versione "dell'Islam" è considerato un eretico o, peggio ancora, un apostata da uccidere.
I musulmani che si oppongono all'islamismo rifiutano la visione islamista secondo la quale l'Islam è immutabile, il Corano è un testo chiuso e non è aperto a nessun'altra interpretazione che non sia la versione islamista, risalente ai primi secoli dell'Islam e diventata autorevole grazie a chi detiene il potere.
I musulmani che osteggiano l'islamismo nella maggior parte sono contrari alla Sharia e avversano i partiti politici e i movimenti legati a Maududi (la Jamaat-i-Islami nell'Asia Meridionale), a Hasan al-Banna e a Sayyed Qutb (i Fratelli musulmani nei paesi del Medio Oriente e nel Nord Africa), al khomeinismo (la versione sciita dell'islamismo in Iran e fra i musulmani sciiti in Medio Oriente e altrove) e alla versione wahhabita-salafita dell'islamismo abbracciata e diffusa dagli arabi sauditi e del Golfo con i loro petrodollari.
Questa lotta fra l'islamismo e l'Islam – tra i musulmani islamisti e i musulmani anti-islamisti – è la lotta cruciale tra i musulmani nel mondo dopo l'11 settembre. Data la grande diversità in seno al mondo musulmano, essa assume forme molti differenti e comprende il movimento tanto rinviato per la riforma dell'Islam e del mondo musulmano, identico per molti aspetti ai lunghi e complessi contrasti sorti in seno al Cristianesimo e andati avanti per diversi secoli attraverso la Riforma, la Controriforma e i dissidi che culminarono nel mondo moderno.
Da una prospettiva storica più lunga, questa lotta in seno all'Islam è inevitabile e necessaria perché i musulmani – individualmente e collettivamente – si sforzano di armonizzare la loro fede con la modernità. Si potrebbe anche dire che l'11 settembre ha svelato le tensioni latenti, a volte violente, esistenti nel mondo musulmano e ha spinto i conflitti interni a scoppiare e a estendersi, ricordandoci ancora una volta che la lotta per la riforma è spesso inseparabile dalla violenza.
L'intensità della lotta tra l'Islam e l'islamismo può essere valutata dal grado di violenza tra musulmani. Credo che l'esito finale di questa lotta avrà effetti benefici tanto per i musulmani quanto per i non musulmani nel nostro mondo interdipendente. Ma un Islam riformato, che abbracci i valori moderni della scienza, libertà e della democrazia, non è conseguibile senza l'appoggio dei non musulmani in un mondo dove nessuna cultura o civiltà è isolata da ogni altra. Pertanto, c'è bisogno di una maggiore attenzione nell'Occidente verso l'Islam e i musulmani. Questa è mancata durante gli anni della guerra fredda, ed è una condizione necessaria e positiva per la riforma dell'Islam e perché i paesi musulmani si armonizzino con la modernità e la democrazia.
L'Islam è l'ultima delle grandi religioni del mondo che ancora oppone resistenza alla riforma modernista. Quando il mondo islamico finirà per conciliarsi con la modernità potrà non essere pienamente compreso, ma una riconciliazione finale è più che probabile.
La modernizzazione potrebbe essere osteggiata e ritardata, poiché gli islamisti sembrano determinati a impedirla, ma alla fine sarà inesorabile. I suoi benefici sono fortemente desiderati e cercati da un numero sempre maggiore di musulmani. Col tempo, gli storici diranno che i conflitti brutali che hanno fatto seguito all'11 settembre sono stati gli ultimi tentativi disperati da parte di quei musulmani determinati a ricostruire una civiltà – erroneamente designata come l'incarnazione della loro fede, l'Islam – che era in coma, se non morta.
[i] B. Lewis, "The Roots of Muslim Rage" in The Atlantic Monthly (September 1990), pp.47-60.
[ii] Per una traduzione inglese si veda Muhammad Iqbal, Shikwa & Jawab-i-Shikwa: Complaint and Answer: Iqbal's Dialogue with Allah tradotto dall'urdu da Khushwant Singh (Delhi: Oxford University Press, 1981; reprint 1983).
[iii] M. Bennabi, Islam: In History and Society (Kuala Lumpur, Malaysia: Berita Publishing, 1991), p. 10.
[iv] Lewis, op. cit.
[v] In Indonesia e in Malesia, nell'Asia sudorientale; in Pakistan, Afghanistan, Iran, Iraq, Siria, Giordania, Libano, Egitto nel grande Medio Oriente; in Tunisia, Algeria, Marocco nel Nord Africa; nelle repubbliche dell'Asia Centrale che erano sotto il dominio sovietico.
[vi] Ibid.
[vii] V.S. Naipaul, Among the Believers: An Islamic Journey (London: Andre Deutsch, 1981), p. 364.
[viii] Hobsbawn ha definito il Novecento "Il secolo breve, 1914-1991" per il sottotitolo del suo libro Age of Extremes. Allo stesso modo, J. Luckacs ha iniziato il suo libro The End of the Twentieth Century (New York:Ticknor & Fields, 1993) affermando che "è stato un secolo breve. È durato 75 anni – dal 1914 al 1989".
[ix] Francis Fukuyama, La fine della Storia e l'ultimo uomo, ed. BUR, Milano 1996, p. 18.
[x] I. Babbitt, Democracy and Leadership (Indianapolis: Liberty Classics reprint, 1979), p. 23.