"Abbiamo fatto in modo che le masse dei conservatori e dei pii (musulmani) divenissero non solo parte del sistema politico, ma importanti attori". È ciò che ha detto il premier Ahmet Davutoglu, senza nemmeno cercare di nascondere il suo orgoglio.
La situazione in cui oggi si trova la Turchia è un perfetto esempio di come, quando gli islamisti – moderati o meno – governano un paese, anche le libertà più elementari sono sistematicamente soppresse. A suggellare il terribile fallimento di ciò che una volta il presidente degli Stati Uniti Barack Obama definì "una democrazia musulmana di successo" ci ha pensato un alto magistrato del paese.
Hasim Kilic, presidente della Corte costituzionale turca, ed egli stesso conservatore, di recente ha detto che "in Turchia è emerso un clima di paura" e ha invitato i turchi a "opporsi a esso e a non mollare". Ma non è sempre facile farlo.
Quando i turchi lo scorso anno scesero in piazza per protestare contro il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) e dovettero affrontare la violenza brutale della polizia, Mehmet Ali Sahin, vice-presidente dell'Akp (ed ex ministro della Giustizia e presidente del Parlamento) propose che milioni di manifestanti fossero condannati all'ergastolo in base all'art.312 del Codice penale turco, che stabilisce che "chiunque tenta di distruggere il governo o di impedirgli parzialmente o in toto di svolgere i suoi compiti sarà punito con l'ergastolo aggravato".
Ethem Sarisuluk era una delle decine di vittime delle "proteste di Gezi Park" che è stato ucciso da un agente di polizia, come mostrano le chiare immagini di un video. Quando il 26enne è stato colpito alla testa, era disarmato.
Dopo lo sdegno dell'opinione pubblica e una serie di proteste, le autorità decisero di consegnare il poliziotto alla giustizia. Nel corso di una recente udienza, all'uomo è stata inflitta una condanna a sette anni e mezzo di reclusione per aver ucciso un manifestante senza premeditazione. La famiglia della vittima, delusa, si appellerà alla sentenza. Ma a quanto pare, la perdita di un figlio per un proiettile sparato dalla polizia non è stata l'unica delle disgrazie di questa famiglia.
Durante una delle udienze sempre cariche di tensione, i genitori e i fratelli di Sarisuluk si sono scagliati verbalmente contro l'imputato, che li ha accusati di essere stato "minacciato e leggermente ferito durante una rissa" in aula. Il poliziotto ha presentato una denuncia presso l'ufficio del pubblico ministero, e ha chiesto che la famiglia Sarisuluk fosse condotta davanti alla giustizia. La denuncia è stata presentata prima che la Corte emettesse la propria sentenza sull'omicidio del giovane Ethem. Di recente, i Sarisuluk sono comparsi davanti a un giudice in veste di imputati.
Un pubblico ministero chiede per loro fino a dieci anni e cinque mesi di reclusione per aver "insultato e ferito con premeditazione un agente di polizia". La cosa buffa è che il poliziotto non si è sottoposto a nessuna cura medica dopo la rissa in aula. Se il giudice fosse d'accordo con il procuratore, i Sarisuluk probabilmente saranno le prime persone al mondo a dover scontare una pena detentiva più pesante per "insulti e lesioni lievi" rispetto a quella inflitta all'uomo che ha ucciso il loro figlio. È una cosa insensata? Beh, non in Turchia.
Nel 2012, venne diffuso un videoclip che mostrava sei poliziotti che picchiavano una donna in una sala d'aspetto di una stazione di polizia, cosa che suscitò un grande clamore. Il filmato fu registrato dalle telecamere di sicurezza della stazione di polizia. Come ogni altro caso simile, l'episodio finì in tribunale. Alla fine, la corte inflisse ai poliziotti varie pene detentive che andavano dai sei mesi ai due anni di reclusione. La donna, però, fu condannata a cinque anni "per insulti e resistenza ad agenti di polizia". Ma questo non è stato il solo caso di "humor nero turco". Poiché sono trapelati più dettagli sulla vicenda, di recente, i turchi hanno appreso che il pubblico ministero aveva trovato qualcun altro da incriminare.
Si tratta di Kemal Goktas, un reporter del quotidiano Vatan. Dopo che la pubblica accusa aveva chiesto un pena più pesante per la vittima rispetto a quella chiesta per i suoi aguzzini e dopo che la sua incriminazione divenne di dominio pubblico, Goktas pubblicò un articolo nel suo giornale, nel cui titolo definiva "scandalosa" la valutazione finale del pubblico ministero. Quest'ultimo considerò il titolo "un insulto a un membro della magistratura" e avviò un procedimento giudiziario contro il cronista. La pubblica accusa ha chiesto una pena detentiva fino a tre anni e mezzo.
Ma non tutte le storie della Turchia governata dagli islamisti sono ridicole e bieche. Alcune sono semplicemente ridicole. La settimana scorsa, un giovane attivista pacifista ha organizzato una protesta solitaria nella trafficatissima Istiklal Street. Il ragazzo a quanto pare voleva "promuovere l'amore e la pace in tutto il mondo". Sotto gli occhi dei passanti incuriositi, egli se ne stava in piedi in un angolo della strada pedonale mostrando un cartello con su scritto: "Abbracciatemi – per amore". Era bendato, con le braccia protese in avanti per ricevere gli "abbracci" ed è rimasto lì per circa un'ora.
I passanti dapprima lo guardavano insospettiti. Poi, qualcuno, ridacchiando, lo ha abbracciato. Così la barriera psicologica era stata infranta. Il giovane è stato poi "abbracciato" da centinaia di persone sorridenti, di tutte le età e di tutte le razze. La sua manifestazione ha avuto il solito epilogo. Una coppia di agenti della polizia municipale gli ha ordinato di "non farsi più abbracciare dalla gente". Poi, gli ha consegnato un biglietto. Gli abbracci gli sono costati 91 lire turche (circa 40 dollari). Il suo reato? Disturbo della quiete pubblica.
Non è un caso che la Turchia, dove, nelle parole del premier, i pii musulmani sono i principali attori del sistema politico, si collochi al 154mo posto della prestigiosa classifica dell'indice sulla libertà di stampa a livello mondiale pubblicato ogni anno da Reporters Without Borders. E non è un caso che, nonostante l'eccessivo eufemismo politico, la Commissione europea, nel suo rapporto annuale sui progressi della Turchia, abbia ravvisato un'interferenza del governo nel sistema giudiziario e nei divieti imposti ai social media considerandole come principali fonti di preoccupazione per quanto concerne la candidatura della Turchia a divenire membro a pieno titolo dell'Unione Europea.
Ecco alcune delle conclusioni del rapporto: "L'adozione di una normativa che mina l'indipendenza della magistratura, le riassegnazioni di massa, il licenziamento dei giudici e dei pubblici ministeri, nonché la detenzione di un elevato numero di agenti di polizia, come pure i divieti imposti ai social media".
Ma il presidente Obama ha letto le valutazioni dell'UE sulla "grande democrazia musulmana"?
Burak Bekdil, vive ad Ankara ed è columnist del quotidiano Hürriyet Daily e membro del Middle East Forum.