Le donne musulmane di tutta la Gran Bretagna vengono sistematicamente oppresse, maltrattate e discriminate dai tribunali della sharia – la legge islamica – che trattano le donne come cittadine di seconda classe. A dirlo, è un nuovo rapporto, che mette in guardia contro la proliferazione dei tribunali islamici nel Regno Unito.
Il documento di 40 pagine, dal titolo "Un mondo parallelo: Affrontare il problema dei maltrattamenti di molte donne musulmane nella Gran Bretagna di oggi", è stato redatto dalla baronessa Caroline Cox, membro imparziale della Camera dei Lord e una delle principali paladine dei diritti delle donne nel Regno Unito.
Il rapporto mostra come la crescente influenza della legge della sharia, in Gran Bretagna, oggi stia minando il principio fondamentale secondo il quale dovrebbe esserci uguaglianza per tutti i cittadini britannici secondo un'unica legge dello Stato.
L'Arbitration Act del 1996 consente alle parti di risolvere alcune controversie civili, secondo i principi della sharia, in modo tale che la decisione possa essere fatta valere nei tribunali britannici.
Secondo il report, tuttavia, molti organismi musulmani utilizzano l'Arbitration Act a sostegno dell'affermazione secondo cui essi sono in grado di prendere decisioni giuridicamente vincolanti per i membri della comunità islamica, quando in realtà la legge limita il loro ruolo di mediatori, chiamati ad aiutare a raggiungere un accordo. "Il mediatore non è un giudice né un arbitro che impone una decisione", afferma il rapporto.
Il documento mostra come i tribunali della sharia spesso fondano i concetti di arbitrato, in cui entrambe le parti s'impegnano a presentare la loro controversia a una terza parte stabilita di comune accordo, affinché venga presa una decisione, e la mediazione, in cui le due parti si avvalgono volontariamente di una terza parte che li aiuti a raggiungere un accordo che sia accettabile per entrambe le parti.
All'origine di ciò c'è il problema dello "slittamento di giurisdizione", per cui i tribunali della sharia deliberano su questioni ben al di fuori del sistema dell'arbitrato, come ad esempio per i casi di diritto penale, compresi quelli che riguardano le violenze domestiche e le lesioni personali colpose gravi.
Di conseguenza, le donne musulmane, che possono non parlare la lingua inglese e non essere a conoscenza dei loro diritti ai sensi del diritto britannico, sono spesso spinte dalle loro famiglie a ricorrere ai tribunali della sharia. Queste corti spesso le costringono a firmare un accordo che le induce a rispettare le loro decisioni, che sono imposte e considerate delle vere e proprie sentenze legali.
E peggio ancora, "il rifiuto di risolvere una controversia in un tribunale della sharia potrebbe portare a minacce e intimidazioni o a far sì che le donne siano ostracizzate ed etichettate come miscredenti", si legge nel rapporto, che aggiunge:
"C'è una particolare preoccupazione in merito al fatto che le donne sono sottoposte a pressioni affinché ritirino le accuse di violenza domestica dopo averle sporte. Molti gruppi che operano per la tutela dei diritti delle donne dicono che spesso sono riluttanti a rivolgersi alle autorità nei casi di donne che sono scappate di casa per sfuggire alla violenza, perché non possono fidarsi degli agenti di polizia, per non mettere in pericolo le ragazze vittime dei maltrattamenti familiari".
Il report mostra che anche nei casi in cui i tribunali musulmani lavorano "in tandem" con le indagini della polizia, le donne vittime di maltrattamenti spesso ritirano le denunce fatte alla polizia, mentre i giudici della sharia lasciano che i mariti restino impuniti.
Nel frattempo, la maggior parte dei tribunali della sharia, quando si tratta di divorzio, lo accordano solo in senso religioso. Essi non possono concedere il divorzio civile, ma solo quello religioso, conformemente alla legge della sharia.
Secondo il rapporto, in molti casi questo è tutto ciò che è necessario per concedere un "divorzio"; molte donne musulmane che si ritengono "sposate" hanno contratto matrimoni non riconosciuti dalla legge inglese. Anche se è stato celebrato un nikah (una cerimonia di matrimonio islamico), se il matrimonio non è stato registrato ufficialmente, non è valido secondo il diritto civile. Il documento afferma:
"Questo crea un problema molto serio: le donne che si sono sposate con rito islamico, ma non sono ufficialmente sposate per la legge britannica possono subire gravi danni a causa della mancanza di protezione giuridica. Inoltre, esse possono non essere a conoscenza del fatto che il loro matrimonio non è riconosciuto ufficialmente dalla legge inglese."
Questo pone le donne in una situazione giuridica particolarmente precaria quando si tratta di divorzio. Nell'Islam, un marito non deve seguire lo stesso iter che la moglie è costretta a seguire quando chiede un talaq (divorzio islamico). Deve solo dire per tre volte: "Divorzio da te", mentre la moglie deve soddisfare varie condizioni e pagare un tributo. Il rapporto cita i casi di donne che parlando del loro talaq, raccontano della mancanza di tutela legale dopo aver scoperto che il loro nikah non era valido per la legge inglese.
Il report cita Kalsoom Bashir, un'attivista per i diritti delle donne di Bristol, che parla anche del problema della poligamia e osserva:
"In seno alle famiglie musulmane si ravvisa un aumento della poligamia e sempre più donne non sono in grado di affrontare la situazione né di ottenere qualsiasi forma di giustizia. Esse trovano difficoltà a ottenere il mantenimento quando i matrimoni non sono stati registrati legalmente. La poligamia è utilizzata per controllare le prime mogli che potrebbero essere un problema per l'uomo che secondo il diritto islamico può prendere un'altra moglie. A volte, basta che uno dei matrimoni sia registrato per lasciare una moglie senza alcuna tutela giuridica."
Complessivamente, il rapporto annovera stralci di testimonianze di decine di donne musulmane vittime di abusi e ingiustizie per mano dei tribunali della sharia, nel Regno Unito. Una donna ha detto: "Mi sento tradita dalla Gran Bretagna. Sono venuta in questo paese per lasciarmi tutto alle spalle e la situazione qui è peggiore di quella del posto da cui sono scappata".
Il rapporto termina chiedendo al governo britannico di avviare un'indagine giudiziaria per "accertare in che misura i principi discriminatori della sharia vengono applicati nel Regno Unito". Esso invita inoltre il governo ad appoggiare l'Arbitration and Mediation Services (Equality) Bill (il progetto di legge sull'arbitrato, la mediazione e la parità in materia di servizi) introdotto dalla baronessa Cox, che "crea un nuovo reato penale che criminalizza chiunque pretenda di deliberare su questioni che dovrebbero essere giudicate da tribunali penali o civili".
La baronessa Cox ha introdotto il progetto di legge nel 2011, che si è però arenato per la mancanza di appoggio da parte dei principali partiti. Ella ha poi reintrodotto la proposta di legge nel 2013 e nel 2014, ma essa è ancora arenata perché a quanto pare i principali partiti hanno paura di offendere i musulmani. La Cox ha promesso di reintrodurre il progetto di legge nella prossima sessione del Parlamento, i cui membri saranno eletti il 7 maggio.
Il disegno di legge mira a combattere le discriminazioni vietando ai tribunali della sharia di: a) ritenere che la testimonianza degli uomini ha più peso di quella delle donne; b) procedere secondo il presupposto che la divisione di un patrimonio tra figli maschi e femmine non deve essere uguale; o c) procedere secondo il presupposto che una donna ha meno diritti di proprietà rispetto a un uomo.
La legge dovrebbe anche obbligare gli enti pubblici a garantire che le donne appartenenti a famiglie poligame o che hanno contratto un matrimonio religioso siano messe a conoscenza della loro posizione giuridica e dei diritti legali di cui godono ai sensi della legge britannica.
In una lettera, la baronessa Cox ha scritto che le sue raccomandazioni "non possono in alcun modo porre rimedio a tutte le questioni delicate coinvolte, ma offrono un'importante opportunità per farlo". Ella ha poi aggiunto che il suo progetto di legge "già conta sul forte appoggio di tutto lo spettro politico della Camera dei Lord nonché dei gruppi delle donne musulmani e di altre organizzazioni che si preoccupano delle sofferenze delle donne vulnerabili."
Ma resta da vedere se il prossimo governo si impegnerà ad appoggiare il disegno di legge. Il 23 marzo, il ministro degli Interni britannico Theresa May ha promesso che se il Partito conservatore vincerà le elezioni politiche ella provvederà a valutare se i tribunali della Sharia presenti in Inghilterra e nel Wales sono compatibili con i valori britannici
C'è da dire però che i precedenti del governo conservatore in fatto di Islam sono lacunosi. Nel novembre 2013, ad esempio, il governo ha respinto un emendamento proposto dalla Cox al progetto di legge sui comportamenti antisociali, la criminalità e il mantenimento dell'ordine che tutelerebbe le donne indotte a credere che i loro matrimoni sono validi per la legge inglese, quando in realtà non lo sono.
Più di recente, i conservatori hanno annullato un'inchiesta "politicamente scorretta" sulle attività dei Fratelli musulmani in Gran Bretagna.
Se la Cox ha accolto con favore l'impegno della May a indagare sui tribunali della sharia, si è anche detta preoccupata che ancora una volta i politici si pieghino alla correttezza politica. È importante, ella ha scritto, che tali indagini "non cadano al primo ostacolo, come sembra essere accaduto con le precedenti inchieste governative a riguardo. Non potendo disporre di pieni poteri sui testimoni, ogni esame indipendente – non importa quanto buone siano le intenzioni – sarà un'altra occasione persa".
La Cox ha sintetizzato la questione in questo modo:
"La risposta del governo sarà un banco di prova che stabilirà fino a che punto esso afferma il diritto di uguaglianza di fronte alla legge o se è talmente dominato dalla paura di 'offendere' che continuerà a permettere a queste donne di subire torti che farebbero rivoltare nella tomba le nostre suffragette."
Soeren Kern è senior fellow al Gatestone Institute di New York. È anche senior fellow per la politica europea del Grupo de Estudios estratégicos/Strategic Studies Group che ha sede a Madrid. Seguitelo su Facebook e Twitter .