Nel corso di una recente conferenza, mi sono ritrovato a lamentarmi dell'inefficacia delle azioni militari occidentali contro lo Stato islamico (Isil). Noi, in Occidente, avevamo deciso di attaccare l'Isil, ma siamo sembrati troppo indulgenti. Perché non sono stati fatti a pezzi i loro circuiti bancari, la propaganda e le strutture che sostengono le loro azioni terroristiche?
Immaginate la sorpresa quando un importante esperto americano di tali tematiche mi ha risposto che di gran lunga la cosa migliore da fare con l'Isil è non fare proprio nulla: il Medio Oriente e il più ampio "mondo musulmano" sono condannati a una massiccia e ignobile guerra civile, pertanto, che se la sbrigassero da soli per poi valutare il da farsi in seguito, una volta che la situazione sarà più chiara.
Questo, forse, è più facile da dire per un americano. I leader europei guardano inorriditi il crescente numero di morti tra i profughi ("migranti") che solcano il Mediterraneo a bordo di barconi. È morale non fare nulla? Ma fare qualcosa non farebbe che incoraggiare le persone più terrorizzate a cercare di attraversare l'Europa e rimanere lì? Quando finirà tutto questo? E che ne sarà del continente europeo?
Tutto può essere analizzato all'infinito. Documenti programmatici e strategici, roadmap, valutazioni e gestioni del rischio, e così via dicendo, possono tutti essere elaborati a profusone. Ma prima o poi, uno dei nostri leader deve affrontare i media o l'opinione pubblica, e spiegare in poche parole ciò che sta accadendo e cosa fare a riguardo.
Qualsiasi dichiarazione deve assolvere due funzioni primarie. Deve descrivere l'azione proposta e spiegare perché quell'azione è opportuna. E deve farlo in modo convincente, con tono persuasivo.
La dichiarazione rilasciata dal presidente Obama ad agosto dello scorso anno, dopo l'uccisione del giornalista americano James Foley per mano dei miliziani dell'Isil di cui era ostaggio, è stata ovviamente terribile, quasi sotto ogni aspetto. Non è riuscita a esprimere l'urgenza ed era incorniciata dalle prodezze golfistiche del presidente sullo sfondo. Ma soprattutto, l'esplicita idea filosofica centrale era infallibilmente sbagliata: "Su una cosa siamo tutti d'accordo, ossia che non c'è posto per un gruppo come l'Isil nel XXI secolo".
Perché dovremmo essere d'accordo su questo, quando è terribilmente ovvio a) che l'Isil ha un posto in questo secolo e b) che questo posto tende a espandersi, anche attraverso l'interesse mostrato dai giovani delle nostre società che portano il paradosso postmoderno alla sua logica conclusione, vale a dire far retrocedere la società barcollante alla gloria cruenta del Medioevo?
D'altro canto, la dichiarazione del presidente ha barrato la casella dell'inerzia intenzionale. Se la reale politica consiste nello stare a guardare mentre in Medio Oriente le diverse fazioni violente si attaccano a vicenda, ma in realtà non si ammette che sia così, forse la dichiarazione contribuisce a chiarire come stanno le cose.
Una cosa su cui forse possiamo essere tutti d'accordo è che il peggiore dei mondi è quello che appare incerto o indeciso. Nessun leader occidentale si precipita davanti alle telecamere per dire che la migliore risposta alla macellazione dei propri cittadini è non fare molto, e poi aspettare di vedere cosa accade. Anche quelle persone che potrebbero convenire sul fatto che, tutto sommato, questa è la politica migliore, saranno tentate di gridare che il leader sta mostrando una stupida debolezza. I leader sono pagati da noi per agire! Ci hanno colpito? Noi li colpiamo! Cosa c'è di così difficile in questo?
Beh, sì. Ma c'è un problema.
I bombardamenti di precisione su obiettivi ad hoc in una certa misura degradano o demoralizzano l'Isil. Ma non fanno molto per affrontare il primitivo ma seducente impulso ideologico che l'Isil rappresenta. Anzi, potrebbero perfino incoraggiarlo. Inoltre, la nostra esperienza accumulata in Medio Oriente dall'11 settembre suggerisce che fare i duri non migliora necessariamente la situazione.
Esiste una via di mezzo che comporti un attacco prudente? Se voi laggiù volete uccidervi a vicenda per distinzioni teologiche, noi non ci muoveremo attivamente contro di voi e non interverremo da una parte o dall'altra, come abbiamo fatto di recente in Libia. Tuttavia, noi prenderemo provvedimenti per difendere la nostra civiltà e cercare di impedire la vostra espansione, alzando la posta contro di voi e tutti coloro che sostengono le vostre attività ripugnanti.
In altre parole, se pensiamo davvero che l'Isil non ha un posto nel nostro secolo, cominciamo a dare corpo a questa idea.
- Affermare che chiunque si unisca all'Isil verrà iscritto in un elenco internazionale di presunti criminali di guerra e sarà considerato un fuorilegge per il resto della sua vita.
- Dichiarare che in nessun caso un cosiddetto Stato o "califfato" creato dall'Isil sarà mai ammesso a far parte di un'importante organizzazione internazionale.
- Annunciare che tutte le aziende occidentali che fanno affari con altre imprese che commerciano con l'Isil o lo aiutano a incrementare le sue finanze rischiano multe insostenibili; qualsiasi altra azienda che fa affari con l'Isil o finanzia le sue attività non potrà più operare a tempo indeterminato sui mercati occidentali.
- Interrompere immediatamente le relazioni diplomatiche e commerciali con tutti i paesi che appoggiano direttamente l'Isil. E così via.
Un portavoce dell'Isil proclama i piani di conquista di Israele e dell'Occidente da parte dell'organizzazione. |
Un robusto pacchetto politico come questo sarà attuato in modo imperfetto. Tutte le politiche vengono implementate con eccezioni "pragmatiche" (o ciniche) e qualificazioni. Eppure una cosa del genere almeno stabilisce un serio quadro di riferimento intellettuale e retorico che ha senso per la maggior parte delle varie comunità di tutto il mondo e potrebbe ottenere il sostegno di tutto lo spettro politico.
Qual è il punto fondamentale? Rispondere all'audace asserzione dell'Isil dell'inevitabile vittoria islamista con un chiaro contro-messaggio: No, siete solo dei perdenti violenti, non andrete da nessuna parte.
Charles Crawford è stato ambasciatore britannico a Sarajevo, Belgrado e Varsavia. Oggi è consulente per la comunicazione.