Le "elezioni turche del 2015" hanno fugato le paure giustificate di grossi brogli elettorali, che in molti pensavano potessero rafforzare gli islamisti al potere e preparare il terreno al presidente Recep Tayyip Erdogan per un governo totalitario peggiore di quello di Putin.
Gli stessi risultati elettorali sono la prova migliore che qualsiasi potenziale manipolazione del voto a favore di Erdogan sarebbe stata insufficiente o inefficace per segnare una svolta. Il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), al governo da tredici anni, aveva bisogno di almeno 330 seggi in parlamento per riscrivere la Costituzione nel modo voluto da Erdogan; ne ha ottenuti 258, non abbastanza nemmeno per formare un governo monopartitico – perdendo la maggioranza assoluta in parlamento per la prima volta da quando è salito al potere nel 2002.
Paradossalmente, l'Akp ha sollevato obiezioni contro il conteggio dei voti davanti al Consiglio elettorale supremo in due province e tre città – tutte troppo piccole per cambiare il dato di fatto che Erdogan è il sultano solitario del suo immenso palazzo presidenziale da 615 milioni di dollari.
Nel comunicato sui risultati e sulle conclusioni preliminari, la missione di osservatori internazionali dell'Ocse che hanno seguito le elezioni in Turchia ha detto: "Le elezioni politiche del 7 giugno sono state caratterizzate da una forte e attiva partecipazione dei cittadini sia nel corso della campagna elettorale sia nel giorno del voto, dimostrando così un ampio impegno a tenere elezioni democratiche. (...) Le elezioni sono state organizzate in generale a livello professionale. (...) Nel complesso il sistema di registrazione degli elettori è stato ben sviluppato. (...) Il conteggio dei voti e i processi di tabulazione sono stati in genere trasparenti, anche se sono stati rilevati alcuni importanti errori procedurali". Il report preliminare non menziona alcun broglio elettorale.
Anche gli amici occidentali di Ankara sono soddisfatti. In una dichiarazione congiunta, l'Alto rappresentante dell'Unione Europea per gli Affari esteri, Federica Mogherini, e il Commissario europeo per l'allargamento, Johannes Hahn, hanno affermato: "Le elezioni politiche turche del 7 giugno hanno registrato un record di affluenza dell'86 per cento, un chiaro segno di forza della democrazia turca".
Oltreoceano, il portavoce del dipartimento di Stato americano, Jeff Rathke, ha detto: "Ci congratuliamo con il popolo turco per la partecipazione alle elezioni parlamentati di ieri", aggiungendo che Washington non vede l'ora di lavorare con il nuovo governo turco e il parlamento.
Tutto sembra tranquillo, tranne che Erdogan, l'unico perdente indiscusso delle elezioni, deve essere l'uomo più infelice di Ankara. Ma gli elettori turchi hanno lasciato ai loro politici un enigma di non facile soluzione. Per la prima volta dal 2002, , sette giorni dopo che si sono recati alle urne, i turchi non sanno chi governerà il paese. Quali sono i possibili scenari?
Gli attori politici
Il Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp) è una creatura di Erdogan che ha debuttato sulla scena politica nel 2001. Esso ha vinto tutte le elezioni, politiche e amministrative, e ha guidato i governi monopartitici. Nell'agosto 2014, Erdogan, dopo essere stato primo ministro dal 2003, è stato eletto presidente e ha fatto sì che il suo ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, fosse eletto premier. Secondo la Costituzione turca, il presidente dovrebbe essere super partes – un principio che Erdogan ha tranquillamente violato. Egli ha condotto una campagna volta ad approvare emendamenti alla Carta costituzionale per introdurre un sistema presidenziale esecutivo. Per ogni modifica costituzionale occorrono 367 seggi in parlamento oppure 330 seggi, il che però comporta la ratifica delle modifiche costituzionali attraverso un referendum. In altre parole, Erdogan aveva bisogno di almeno 330 seggi dell'Akp in parlamento per aprire la strada a un presidenzialismo forte.
Il maggior partito di opposizione, il Partito repubblicano del popolo (Chp), è il principale avversario politico dell'Akp. Esso sostiene l'idea di uno stato secolarista e osteggia la politica islamista interna ed estera dell'Akp. Si oppone all'appoggio dato dal partito di Erdogan ai jihadisti in Siria e in Iraq, così come a Hamas.
Il partito del Movimento nazionalista (Mhp), di destra. Ha condotto una feroce campagna contro Erdogan e contro la corruzione. I membri di questa formazione politica sono nazionalisti postmoderni. Essendo di destra, essi si rivolgono ai disincantati sostenitori di Erdogan. In passato, l'Mhp ha appoggiato le mosse dell'Akp per islamizzare la Turchia, compresa la rimozione del divieto di indossare il velo. Non sono islamisti, ma essendo ultranazionalisti, non possono fare a meno di difendere i valori islamici. Uno dei pilastri della campagna elettorale dell'Mhp è stata la disapprovazione dei negoziati di pace con i ribelli turchi.
Il filo-curdo Partito democratico del popolo (Hdp). Questo partito è stato il vincitore indiscusso delle elezioni. È riuscito a superare la soglia del 10 per cento necessaria per guadagnarsi la rappresentanza parlamentare, aggiudicandosi con sorpresa il 13 per cento delle preferenze nazionali. Per la prima volta nella storia del paese, i curdi, raggruppati in un unico partito politico, siedono in parlamento. L'Hdp ha condotto una campagna elettorale contro l'Akp e Erdogan, ma a favore del proseguo dei negoziati di pace con i ribelli curdi. Esso promuove l'idea di concedere l'autonomia alla parte sudorientale della Turchia, a maggioranza curda. Il suo leader carismatico ha escluso l'ipotesi di qualunque modifica costituzionale che permetterebbe a Erdogan di assumere il potere esecutivo da presidente e ha scartato l'idea di formare un governo di coalizione con l'Akp.
Il contesto
Per governare da solo, ogni partito avrà bisogno di una maggioranza semplice di 276 seggi in seno a un parlamento che consta di 550 deputati. In base ai risultati preliminari ecco i seggi ottenuti dai partiti nella Grande assemblea nazionale turca (tra parentesi le percentuali dei voti ottenute):
- Akp: 258 (41 per cento)
- Chp: 131 (25 per cento)
- Mhp: 80 (16 per cento)
- Hdp: 81 (13 per cento)
La coalizione e altri scenari
1. Akp+Chp (389 seggi). Questa è "una grande coalizione" in pieno stile tedesco. Nessuno dei due partiti ha escluso questa opzione dopo il voto elettorale, anche se a partire dal 2002 sono apparsi come i peggiori nemici politici. In questi giorni, sembrano inverosimili e "strani compagni di letto". Le probabilità sono a sfavore di questa opzione, ma una grande coalizione turca non è del tutto impossibile. In questo scenario, Erdogan resta presidente ma con poteri simbolici che non sono esecutivi.
2. Akp+Hdp (339 seggi). L'Hdp probabilmente onorerà la sua promessa e si asterrà dal formare un governo di coalizione con l'Akp. Ma potrebbe essere d'accordo ad appoggiare un governo di minoranza dell'Akp senza farne parte. Cosa ricaverebbe in cambio? La ripresa dei colloqui di pace con i ribelli curdi, il riconoscimento costituzionale per i curdi turchi e un certo grado di autonomia per la parte sudorientale del paese, a maggioranza curda, tutti obiettivi del partito. In questo scenario, Erdogan resta presidente ma con poteri simbolici che non sono esecutivi.
3. Akp+Mhp (338 seggi). Si tratta di un'ipotesi relativamente forte rispetto alle altre. Se essa dovesse prendere forma, l'Mhp si ostinerebbe a voler mandare sotto processo gli ex ministri dell'Akp accusati di corruzione nello scandalo del dicembre 2013; limiterebbe maggiormente i poteri di Erdogan definiti costituzionalmente e cancellerebbe i colloqui di pace con i curdi. È improbabile che questa opzione si concretizzi a meno che le due parti non raggiungano un compromesso su tutte e tre le questioni contese. In questo scenario, Erdogan resta presidente ma con poteri simbolici che non sono esecutivi.
4. Chp+Mhp+Hdp (292 seggi). L'Mhp esclude qualsiasi coalizione di cui faccia parte il partito filo-curdo. Ma un governo di minoranza formato da Chp e Mhp può avere un appoggio dell'Hdp che sia esterno alla coalizione, qualora i nazionalisti riuscissero a digerire questa situazione "imbarazzante" e ad accettare di riconoscere ai curdi "un qualche tipo di autonomia". Uno scenario altamente improbabile. Ma qualora dovesse prendere forma, Erdogan resterebbe presidente, con poteri simbolici che non sono esecutivi.
5. Elezioni anticipate. Secondo la Costituzione, il presidente Erdogan dovrà sciogliere il parlamento e indire elezioni anticipate se nessun partito riuscisse a formare un governo e ottenere un voto di fiducia in parlamento nei 45 successivi al voto elettorale. Nessuno dei politici turchi vuole ritornare alle urne. Non hanno l'energia necessaria per un'altra consultazione elettorale incerta né per spendere un'altra fortuna in una nuova campagna elettorale. I partiti sanno che andare al voto anticipato significherebbe più o meno produrre gli stessi risultati indecisi. Inoltre, l'Akp teme che la mancanza di una gestione economica prudente e una potenziale crisi finanziaria durante la crisi politica potrebbero costare al partito ancor più voti di quelli persi il 7 giugno. Anche in questo scenario sembra non esserci spazio per un governo guidato da Erdogan che sarebbe peggiore di quello di Putin.
Burak Bekdil, vive ad Ankara ed è columnist del quotidiano Hürriyet Daily e membro del Middle East Forum.