Mi trovavo nella tribuna del Congresso quando il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha mosso una critica logica e convincente contro l'accordo cui si sta lavorando con l'Iran, biasimando le ambizioni di Teheran di dotarsi di armi nucleari. Il premier ha presentato una nuova proposta basata sui fatti che ha spostato l'onere di persuasione sulla Casa Bianca.
La sua nuova proposta è la seguente: "Se le potenze mondiali non sono pronte a insistere sul fatto che l'Iran cambi il suo comportamento prima che l'accordo sia siglato, almeno dovrebbero insistere che l'Iran cambi il suo comportamento prima che l'accordo si esaurisca". La sua tesi è che senza un presupposto del genere, la decennale sunset clause (vale a dire una disposizione che prevede che i vincoli imposti all'Iran dall'accordo scadano dopo 10-15 anni, permettendo allora a Teheran di riprendere l'attività nucleare a scopi civili, N.d.T.) apra la strada – anziché bloccare – alla possibilità di avere un arsenale nucleare anche se l'Iran dovesse continuare a esportare il terrorismo, a vessare i paesi della regione e a invocare lo sterminio di Israele.
Con una logica che sembra inattaccabile, Netanyahu ha detto che l'alternativa a questo pessimo accordo non è la guerra ma "un accordo migliore che Israele e i suoi vicini potrebbero non gradire, ma con cui possiamo letteralmente continuare a vivere". Il premier israeliano ha poi illustrato le condizioni per avere un accordo migliore: se la clausola decennale consente all'Iran di procedere con l'attività di sviluppo di armi nucleari, i mullah devono allora soddisfare tre condizioni, ossia fermare l'esportazione del terrorismo, smettere di intromettersi negli affari degli altri paesi e di minacciare l'esistenza di Israele.
Qualora i mullah non dovessero accettare di farlo, questo dimostrerebbe che non hanno alcun reale interesse a unirsi alla comunità internazionale e a rispettare le sue regole. Se essi accetteranno queste condizioni, allora la sunset clause non scatterà automaticamente ma l'Iran dovrà dimostrarsi disponibile a rispettare le regole, prima che le regole permetteranno di sviluppare armi nucleari.
Anziché accanirsi contro il messaggero, come ha fatto la Casa Bianca, l'amministrazione americana ha ora l'obbligo di impegnarsi nei confronti di Netanyahu nel mercato delle idee, piuttosto che in una cacofonia di insulti, e di rispondere debitamente alla tesi di Netanyahu. Potrebbero esserci delle risposte convincenti, ma ancora non le ho sentite.
La decisione di accettare o rifiutare un accordo con l'Iran sul suo programma di armi nucleari potrebbe essere la questione di politica estera più importante del XXI secolo. Molti membri del Congresso, forse la maggior parte, sono d'accordo con il premier israeliano, piuttosto che con il presidente degli Stati Uniti. In base al nostro sistema di separazione dei poteri, il Congresso è un ramo coeguale del governo e nessuna importante decisione, come quella inclusa in questo accordo, dovrebbe essere presa contro la sua volontà. Forse il presidente riuscirà a convincere il Congresso ad appoggiare questo accordo ma deve collaborare con i nostri rappresentanti debitamente eletti dal popolo, anziché ignorarli.
L'amministrazione e i suoi sostenitori, in particolar modo quelli che hanno boicottato il discorso del premier, concentrano la loro attenzione sulla cosiddetta mancanza di protocollo con cui Netanyahu è stato invitato dal Presidente della Camera. Ma immaginiamo lo stesso protocollo per un presidente che abbia favorito e non osteggiato l'accordo in questione. La Casa Bianca e i suoi sostenitori accoglierebbero con favore un premier che sarebbe ben disposto nei confronti dell'accordo, come è stato fatto con il primo ministro britannico David Cameron, quando fu mandato a esercitare pressioni sul Senato a favore della posizione dell'amministrazione. Pertanto, la questione del protocollo è ampiamente pretestuosa. L'amministrazione è arrabbiata più per il contenuto del discorso di Netanyahu che per il modo in cui egli ha ricevuto l'invito.
Si tratta di una questione troppo importante per essere fuorviata dalle formalità del protocollo. Il discorso è ormai stato pronunciato. È stato un intervento equilibrato, con parole di elogio per il presidente, i democratici, il Congresso e per il popolo americano. Il premier Netanyahu ha mostrato tutto il suo lato diplomatico. A mio avviso, ha fatto anche del suo meglio per esporre le sue considerazioni contrarie alla posizione assunta dall'amministrazione nei negoziati con l'Iran, soprattutto riguardo all'incondizionata sunset clause.
L'amministrazione Obama deve ora rispondere a una domanda fondamentale: perché consentire al regime iraniano di sviluppare armi nucleari tra dieci anni, se allora ancora esporterà il terrorismo, vesserà i vicini paesi arabi e minaccerà di sterminare Israele? Perché non condizionare la sunset clause a un cambiamento di rotta di questo regime criminale? La risposta potrebbe essere che Teheran potrebbe non accettare questa condizione. Se così fosse, allora questo è davvero un pessimo accordo, peggiore di qualsiasi accordo. Sarebbe meglio inasprire le sanzioni economiche e le altre pressioni, anziché eliminarle in cambio di un mero rinvio dello sviluppo dell'arsenale iraniano.
Ci possono essere risposte migliori, ma adesso tocca a Obama fornirle, piuttosto che evitare di rispondere ai ragionevoli dubbi di Netanyahu con risposte irrilevanti sul "protocollo" e gli attacchi personali al messaggero. Israele merita di meglio. Il mondo merita di meglio. Il popolo americano merita di meglio. E anche il Congresso.
Un'incondizionata sunset clause è un invito all'Iran a continuare a esportare il terrorismo, a vessare i paesi vicini e a minacciare Israele – ma con un arsenale nucleare che terrorizza il mondo intero. Questo potrebbe essere un "punto di svolta", per parafrasare le parole di Obama di diversi anni fa, quando promise che non avrebbe mai permesso all'Iran di sviluppare armi nucleari. Ma all'improvviso il "mai" è diventato "presto". Il Congresso dovrebbe insistere sul fatto che qualsiasi clausola che consenta a Teheran di sviluppare armi nucleari dopo dieci anni deve essere almeno condizionata a un cambio di rotta significativo da parte del regime più pericoloso al mondo.