Il 26 giugno scorso a Saint Quentin Fallavier, in Francia, Yassin Salhi decapita Hervé Cornara, il suo datore di lavoro. L'uomo prende in mano la testa che ha appena mozzato e scatta un selfie, quindi invia la foto a uno dei suoi amici jihadisti in Siria e infilza la testa su una recinzione, vicino a una bandiera nera dell'Isis. Poi, Salhi tenta di innescare un'esplosione in un impianto di gas industriale, ma non ci riesce. Se avesse avuto successo, avrebbe potuto causare un disastro simile a quello avvenuto a Seveso, in Italia, nel 1976.
Lo stesso giorno, un altro uomo, un certo Seifeddine Rezgui, si reca su una spiaggia di Sousse, in Tunisia. Egli dissotterra un fucile d'assalto che in precedenza aveva nascosto sotto la sabbia e uccide 39 turisti, soprattutto inglesi, ferendone altri 40. L'attentatore viene poi ucciso dalla polizia. Prima della strage, egli aveva inviato un selfie, che lo ritraeva sorridente e con un fucile in mano, accanto a una bandiera nera dello Stato islamico. Rezgui invia la foto a un amico jihadista in Siria, proprio come ha fatto Yassin Salhi.
Nel frattempo, un attentatore suicida uccide 27 persone facendosi esplodere in una moschea sciita, a Kuwait City.
L'Isis diffonde un comunicato in cui rivendica la responsabilità dei tre attacchi, affermando che il 26 giugno ricorre il primo anniversario della proclamazione del califfato da parte di Abu Bakr al-Baghdadi.
In un anno, l'Isis è arrivato a controllare metà dell'Iraq, più della metà della Siria, e ad occupare un'area grande quanto la Gran Bretagna. Ha espugnato città importanti come Ramadi e Palmira. Ha distrutto monumenti millenari. Ha ucciso migliaia di persone, soprattutto cristiani, spesso nel modo più atroce. Ha ripristinato la schiavitù. Si è diffuso ben oltre il suo territorio originario e si è assicurato le promesse di fedeltà da parte di altri gruppi islamici come Boko Haram, in Nigeria; Jund al-Khilafa, in Algeria e Yemen; e Ansar Beit al-Maqdis in Egitto. È ora presente in 14 paesi. Diffonde video sanguinosi e risveglia vocazioni religiose. Accoglie migliaia di reclute dai paesi arabi sunniti, dall'Europa e dall'America. Esorta tutti "i veri musulmani" a uccidere "i miscredenti" (cristiani ed ebrei) e "gli infedeli impuri" (gli sciiti) in tutti i modi e i luoghi possibili.
Il primo giorno del Ramadan, il 17 giugno, uno dei suoi leader, Abu Muhammad al-Adnani, ha rinnovato l'invito a uccidere "gli infedeli". Yassin Salhi, Seiffedine Rezgui e l'autore dell'attacco suicida nella moschea di Kuwait City hanno seguito la direttiva.
Tre giorni dopo gli attentati in Francia, Tunisia e Kuwait, lo Stato islamico ha ucciso il procuratore generale egiziano Hisham Barakat, in un attentato dinamitardo al Cairo. Allo stesso tempo, esso ha lanciato un'offensiva contro l'esercito egiziano nel Sinai, a El Arish. L'intelligence israeliana ritiene che l'attacco sia stato organizzato in collaborazione con Hamas, a Gaza.
L'Isis è presente nelle grandi città dell'Egitto, nella Striscia di Gaza, in Giudea e Samaria, e nei territori amministrati dall'Autorità palestinese. La polizia francese stima che il gruppo disponga di cellule dormienti in Francia e in tutta Europa. Lo Stato islamico controlla la città di Derna, in Libia, e la costa della Cirenaica, da dove vengono spedite in Sicilia e nell'Italia meridionale migliaia di imbarcazioni con a bordo immigrati clandestini.
L'Isis conia le sue monete raffiguranti una mappa del globo e l'iscrizione "Stato islamico – un Califfato basato sulla dottrina del Profeta". Esso sembra avere ambizioni globali.
Ma non dispone dei mezzi per realizzare tutte queste ambizioni. Tuttavia, ha risorse senza precedenti per una struttura jihadista che a differenza delle altre si è organizzata come Stato e produce petrolio. E funziona sia come Stato sia come rete internazionale informale.
L'Isis è la principale incarnazione della minaccia jihadista globale dei nostri tempi. Non dispone ancora di armi nucleari, ma potrebbe avere accesso alle bombe nucleari attraverso il Pakistan. E adesso è anche l'incarnazione della guerra jihadista lanciata diversi anni fa contro l'Occidente e i suoi alleati.
Di fronte al pericolo, i leader occidentali di oggi preferiscono l'appeasement e l'ostinata cecità alla vigilanza preventiva. Essi parlano dello Stato islamico come se si trattasse di un culto e come se promuovesse una "ideologia perversa". Pertanto, non possono capire perché esso attragga così tanti giovani musulmani e non comprendono come il movimento rappresenti per i giovani musulmani un ritorno all'Islam originario e a ciò che i musulmani considerano essere "le parole di Allah" dettate a Maometto. Essi non capiscono la nostalgia per il Califfato, sempre presente nel mondo sunnita, sin dalla deposizione dell'ultimo Califfo, per mano di Mustafa Kemal Ataturk, nel 1924.
In un sondaggio di opinione condotto nel 2006, in Egitto, Pakistan, Marocco e Indonesia, due terzi degli intervistati accolse con favore l'idea di "unire tutti i paesi musulmani in un nuovo califfato".
Nel mondo occidentale, molti commentatori musulmani incoraggiano la cecità, dichiarando che lo Stato islamico non è musulmano. La bandiera dell'Isis reca scritta in arabo la shahada, la professione di fede musulmana. Il Corano utilizzato e citato costantemente dallo Stato islamico è quello usato e citato dai musulmani di tutto il mondo. Le organizzazioni islamiche come il Council on American-Islamic Relations (CAIR) e il Fiqh Council of North America hanno pubblicato testi che affermano di "confutare" la legittimità islamica dello Stato islamico, ma nessuno di questi testi dice che l'Isis non rispetta i principi islamici.
Dopo la strage in Tunisia, David Cameron ha dischiarato che la lotta contro lo Stato islamico è "la lotta della nostra generazione". Ma il premier non spiega come condurrebbe questa lotta. E poi ripete che l'ideologia dello Stato islamico non è islamica.
Dopo la decapitazione avvenuta a Saint Quentin Fallavier, il primo ministro francese Manuel Valls ha parlato con un po' più di chiarezza e ha detto che il nemico è "il jihadismo", aggiungendo che il mondo deve combattere una "guerra contro il terrorismo", senza però esplicitare come dovrebbe essere condotta.
La Francia non ha né i mezzi né la volontà di ingaggiare una guerra globale. Il presidente François Hollande ha immediatamente mitigato "l'asprezza" dei commenti di Manuel Valls, limitandosi a parlare di "determinazione" della Francia. Le osservazioni del premier francese assomigliavano ad altre considerazioni espresse quattordici anni fa.
Il 20 settembre 2001, nove giorni dopo gli attacchi dell'11 settembre, il presidente americano George W. Bush parlò di una "guerra globale al terrore". Egli indicò gli obiettivi e attuò una strategia. La maggior parte dei leader occidentali all'epoca lo criticò aspramente. Nonostante gli errori, nell'autunno 2008, il jihadismo e il terrorismo islamico sembravano sull'orlo della sconfitta.
Nel marzo 2009, il Dipartimento di Stato americano cambiò ufficialmente il nome delle operazioni da "Guerra globale conto il terrore" a "Operazioni di contingenza all'estero".
Il 23 maggio 2013, il presidente Obama dichiarò che "la guerra al terrore" era finita.
Nel gennaio 2014, in un'intervista a The New Yorker, Obama minimizzò il potere dello Stato islamico e lo paragonò a un "JV team", ossia una squadra di dilettanti.
Diciotto mesi più tardi, l'8 giugno 2015, egli ha detto che la sua amministrazione "non ha ancora una strategia" per affrontare lo Stato islamico. E sembra che essa non ne abbia ancora una.
Invece, lo Stato islamico dispone di una strategia. La guerra jihadista contro l'Occidente e i suoi alleati sta crescendo.
La guerra dell'Occidente contro il terrorismo jihadista è solo all'inizio. Per ora, i paesi occidentali, nella migliore delle ipotesi, stanno sulla difensiva. Essi non osano nemmeno identificare il nemico.
Nel 2009, uscendo da un campo di prigionia americano in Iraq, Abu Bakr al-Baghdadi disse: "Ci vediamo a New York, ragazzi". Ma non è ancora a New York.