Sono trascorsi nove mesi da quanto Angela Merkel e Mark Zuckerberg hanno cercato di risolvere la crisi migratoria europea. Naturalmente, riconoscere che questa crisi sia stata provocata da una politica delle porte aperte all'immigrazione dal Terzo Mondo sarebbe stato per la Merkel un buon modo per tentare di risolvere il problema.
Ma la cancelliera tedesca non tedesca non ha mostrato alcun interesse per il rafforzamento delle frontiere esterne dell'Europa, il ripristino di quelle interne, la creazione di un efficace sistema di controllo per verificare o accertare l'identità dei richiedenti asilo e il rimpatrio delle persone che hanno mentito per poter entrare in Europa. Piuttosto, la cancelliera Merkel era interessata a Facebook.
Seduta di fianco a Mark Zuckerberg, Frau Merkel voleva sapere in che modo il fondatore di Facebook avrebbe potuto aiutarla a limitare la libertà di espressione degli europei su Fb e altri social media. Chiacchierando con il CEO dell'azienda di Palo Alto, in occasione di un summit delle Nazioni Unite tenutosi nel settembre 2015 ( e ignara dei microfoni aperti), ella gli ha chiesto che cosa lui stesse facendo per impedire la pubblicazione su Facebook di commenti contrari alla sua politica migratoria. "Ci stai lavorando?" gli ha domandato. "Sì", ha risposto Zuckerberg.
Nei mesi successivi, abbiamo appreso che non si trattava di semplici chiacchiere scambiate a pranzo. A gennaio di quest'anno, Facebook ha lanciato la sua 'iniziativa per il coraggio civile online', impegnando un milione di euro in favore di organizzazioni non governative in grado di contrastare i commenti "razzisti" e "xenofobi" pubblicati online. L'azienda ha anche promesso di rimuovere 'i messaggi di incitamento all'odio' e le espressioni di "xenofobia" dal sito di Facebook.
È stato chiaro fin dall'inizio che Facebook ha un problema con le definizioni, così come un pregiudizio politico nel decidere su tali questioni. In che modo Fb definisce il ' razzismo'? Qual è la sua definizione di 'xenofobia'? E partendo da questo, qual è la sua definizione di 'incitamento all'odio'? Per quanto riguarda il pregiudizio politico, perché Facebook non aveva già preso in considerazione l'idea di cancellare i commenti a favore delle "frontiere aperte"? Ci sono molte persone in Europa che pensano che nel mondo non dovrebbero esistere frontiere e che chiunque lo desideri è libero di vivere nel Vecchio Continente. Perché le persone che esprimono opinioni del genere su Facebook (e sono numerose) non sono state censurate e i loro post rimossi? Questi punti di vista non sono "estremi"?
Uno dei problemi relativi a questa serie di domande – un problema che chiaramente non è passato per la testa a Facebook – è che le risposte possono variare da un paese all'altro. Qualsiasi politologo sa che ci sono leggi che si applicano in alcuni paesi, ma non in altri. Contrariamente alle opinioni di molti "progressisti" transnazionali, il mondo non dispone di una serie di leggi universali e ancor meno di costumi universali. Le leggi contro l'incitamento all'odio rientrano in larga misura nell'ambito degli usi e costumi.
Pertanto, non è saggio imporre a un paese la politica di un altro paese senza almeno avere una conoscenza approfondita delle tradizioni e delle leggi di quel paese. Ogni società ha la propria storia e si occupa in vario modo delle questioni più delicate. Ad esempio, in Germania, Francia, Paesi Bassi e in qualche altro paese europeo esistono leggi già in vigore sulla pubblicazione di documenti nazisti e la diffusione di materiale che esalti (o rappresenti) Adolf Hitler e che neghi l'Olocausto. La legislazione tedesca che vieta ogni riproduzione fotografica di Hitler potrebbe sembrare ridicola a Londra, ma meno a Berlino. Certo, ci vorrebbe un londinese molto sicuro di sé per imporre una politica che modifichi questa legge tedesca.
Per capire le cose che sono proibite o che andrebbero vietate in una società si dovrebbe avere un'enorme fiducia nella conoscenza dei tabù e della storia di quel paese, come pure delle regole e delle leggi che disciplinano la libertà di espressione. Vietare il culto degli idoli comunisti, ad esempio, potrebbe sembrare sensato, di buon gusto e anche auspicabile in uno dei molti paesi che hanno conosciuto il comunismo, per limitare le sofferenze delle vittime e impedire la rinascita di un'ideologia del genere. Eppure, un divieto universale delle immagini o dei testi che esaltano gli assassini comunisti di dieci milioni di persone trasformerebbe in criminali anche quelle migliaia di occidentali – soprattutto americani – che amano indossare magliette con l'immagine di Che Guevara o che continuano a coltivare la loro fantasia adolescenziale che Fidel Castro sia un'icona di libertà. Tutte le società libere devono consentire di esprimere la più vasta gamma di opinioni. Ma avranno idee diverse su dove finisce la legittima espressione e inizia l'istigazione.
Quindi, sarebbe presuntuoso da parte di Facebook e di altri elaborare una politica unilaterale di lotta contro ciò che istiga all'odio, se ci fosse – e c'è – un evidente pregiudizio politico fin dall'inizio. Pertanto, è particolarmente deplorevole che questo movimento di lotta contro i discorsi che istigano all'odio abbia trovato manforte il 31 maggio scorso, quando l'Unione Europea ha annunciato un nuovo codice di condotta sulla libertà di espressione online che sarà applicato da quattro grandi aziende informatiche, tra cui Facebook e YouTube.
Naturalmente l'Unione Europea è un governo – per di più non eletto – pertanto, la sua volontà non solo di evitare di rispondere a coloro che la criticano ma anche di criminalizzare le loro opinioni e vietare i punti di vista contrari, è pessima, e lo pone sullo stesso piano del governo di un paese che vieta o criminalizza le opinioni di chi lo biasima.
Tali questioni non hanno nulla di astratto e ci riguardano tutti come dimostrato – come se fosse necessaria una prova – dalla decisione di Facebook di sospendere l'account di Ingrid Carlqvist, l'esperta svedese di Gatestone. Lo scorso anno, la Svezia, con l'arrivo dei migranti ha registrato un aumento della popolazione dell'1-2 per cento. Anche quest'anno si stima di avere un simile tasso di crescita demografica. Come sa perfettamente chiunque abbia studiato la situazione, questa è una società il cui modello d'origine è pronto a frantumarsi (secondo l'interpretazione più positiva) a causa del suo progressismo "generoso".
I paesi con modelli di welfare come la Svezia non possono accogliere così tante persone senza avere gravi problemi economici. E le società che non hanno alcuna esperienza di integrazione non possono assorbire un numero ingente di persone che arrivano incessantemente. Come può testimoniare chi si reca in Svezia, questo paese è sottoposto a un'enorme e crescente tensione.
La presa di coscienza di un tale cambiamento avviene attraverso la negazione. L'UE, il governo svedese e la stragrande maggioranza della stampa svedese non hanno alcun desiderio di sentire le critiche che solleva una politica da loro attuata o incoraggiata; le conseguenze si faranno un giorno sentire alla loro porta ma essi desiderano posticipare quel giorno, preferibilmente all'infinito. Così, invece di spegnere il fuoco che hanno appiccato, essi hanno deciso di attaccare coloro che li accusano di essere degli incendiari. In una situazione del genere, non è solamente un diritto ma anche un dovere delle persone libere segnalare i fatti, anche se altre persone potrebbero essere sorde. Solo un paese che scivola verso l'autocrazia e il caos, con una classe dirigente che intende sottrarsi alle proprie responsabilità, potrebbe consentire di ridurre al silenzio quelle poche persone che denunciano ciò che riescono a vedere chiaramente di fronte a loro.
La gente deve schierarsi – ora e in fretta – a favore della libertà di espressione prima che questo diritto le venga tolto, deve appoggiare giornalisti come Ingrid Carlqvist e denunciare quei poteri che vogliono ridurci al silenzio. Purtroppo, non è un'esagerazione dire che il nostro futuro dipende da questo.
Douglas Murray è un analista e opinionista residente a Londra.