Un nuovo accordo segreto sembra dare a Pechino un controllo significativo sull'Iran. I mullah al potere stanno svendendo il Paese alla Cina, proprio come hanno fatto alcuni governi africani. Pechino sembra più che felice di fare accordi con i dittatori, di ignorare le loro violazioni dei diritti umani e di depredare le loro nazioni per promuovere le proprie ambizioni di egemonia mondiale. Nella foto: il presidente iraniano Hassan Rohani (a destra) e il presidente cinese Xi Jinping si incontrano il 23 febbraio 2016 a Teheran, in Iran. (Photo by STR/AFP via Getty Images) |
"Né l'Est né l'Ovest" è uno slogan di cui i mullah iraniani vanno fieri da quando sono arrivati al potere nel 1979. Il regime iraniano si vanta da tempo della sua indipendenza dalle potenze occidentali e orientali. Ma un nuovo accordo segreto con la Cina sembra dare a Pechino un controllo significativo sull'Iran.
Questo accordo della durata di 25 anni, che sembra un accordo coloniale, garantisce alla Cina diritti importanti sulle risorse della nazione. Le informazioni trapelate rivelano che Pechino investirà quasi 400 miliardi di dollari nelle industrie petrolifere, del gas e petrochimiche iraniane. In cambio, la Cina avrà la priorità in ogni nuovo progetto iraniano legato a questi settori. Il gigante asiatico riceverà inoltre uno sconto del 12 per cento, avrà la possibilità di ritardare i pagamenti fino a due anni e potrà effettuarli nella valuta di sua scelta. Complessivamente, si stima che Pechino avrà diritto a sconti di circa il 32 per cento.
Questo accordo segreto ha altresì una dimensione militare: la Cina dispiegherà sul suolo iraniano 5 mila membri delle sue forze di sicurezza, una concessione senza precedenti nella storia della Repubblica islamica. L'accordo è interamente a vantaggio della Cina: i 400 miliardi di dollari che saranno investiti in 25 anni rappresentano una piccola somma per la seconda economia mondiale. La Cina avrà inoltre pieni poteri sulle isole iraniane; si approvvigionerà di petrolio iraniano a un prezzo fortemente scontato e accrescerà la propria presenza e influenza in quasi tutti i settori dell'industria iraniana, come le telecomunicazioni, l'energia, i porti, le ferrovie e le banche. La Cina, per inciso, è il primo importatore mondiale di petrolio.
Anche alcuni politici iraniani e qualche giornale di Stato hanno iniziato a biasimare l'accordo. Il quotidiano Arman-e Melli, ad esempio, ha criticato inaspettatamente il governo, titolando un articolo: "L'Iran non è il Kenya né lo Sri Lanka (per essere colonizzato dalla Cina)".
Nel febbraio scorso, ad Addis-Abeba, la capitale dell'Etiopia, il segretario di Stato americano Mike Pompeo, in un discorso tenuto nella sede della Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Africa davanti a diplomatici e imprenditori, ha ammonito i Paesi africani asserendo che "dovrebbero diffidare dei regimi autoritari e delle loro vuote promesse. Generano corruzione, dipendenza". Nel quotidiano iraniano Hamdeli, il giornalista iraniano Shirzad Abdollahi ha pubblicato un articolo titolato "L'Iran diventerà una colonia cinese?", in cui egli avverte i responsabili iraniani:
"I sorrisi dei cinesi e dei russi sono dannosi e distruttivi per l'Iran quanto lo è l'espressione accigliata di Trump. Gli americani esprimono apertamente le loro opinioni, ma i cinesi e i russi perseguono i loro interessi sotto forma di complimenti diplomatici. Cina, Russia, Stati Uniti, Europa e tutti i Paesi perseguono i propri interessi nazionali nei confronti dell'Iran, e le relazioni romantiche od ostili con Teheran non hanno alcun senso".
Mahmoud Ahmadi Bighash, un intransigente parlamentare iraniano, intervistato da un canale televisivo di Stato ha dichiarato che, a suo avviso, l'accordo firmato con la Cina contempla "un trasferimento alla Cina del pieno controllo delle isole iraniane".
Anche l'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha sottolineato il pericolo dell'accordo:
"Non è valido stringere un accordo segreto con parti straniere senza tenere conto della volontà della nazione iraniana e andando contro gli interessi del Paese, la nazione iraniana non lo riconoscerà".
Rivolgendosi ai mullah al potere, Ahmadinejad ha detto loro:
"Siete i proprietari del Paese per metterlo all'asta all'insaputa della popolazione? Abbiamo fatto una rivoluzione in modo che nessun problema fosse nascosto alla nazione e che nessuno si considerasse proprietario della nazione".
La reazione indignata all'accordo riecheggia da un capo all'altro dell'Iran. Alcuni iraniani hanno paragonato l'accordo con la Cina a quegli umilianti accordi coloniali conclusi prima della Rivoluzione islamica. Nel 1872, ad esempio, lo Scià di Persia Nasser Al-Din concesse per 20 anni a un banchiere britannico, il barone Julius de Reuter, un notevole controllo sulle vie di comunicazione terrestri, sulle fabbriche, sull'estrazione delle risorse, sui telegrafi, sui mulini e su altre opere pubbliche, in cambio di una percentuale sulle entrate. La concessione Reuter era così ampia che perfino dei celebri imperialisti come Lord Curzon la definirono la "più completa concessione sulle risorse che un Paese abbia mai fatto a uno straniero".
I mullah al potere stanno svendendo il Paese alla Cina, proprio come hanno fatto alcuni governi africani. Pechino sembra più che felice di fare accordi con i dittatori, di ignorare le loro violazioni dei diritti umani e di depredare le loro nazioni per promuovere le proprie ambizioni di egemonia mondiale.
Majid Rafizadeh, accademico di Harvard, politologo e uomo d'affari, è anche membro del consiglio consultivo della Harvard International Review, una pubblicazione ufficiale della Harvard University, e presidente del Consiglio internazionale americano sul Medio Oriente. È autore di molti libri sull'Islam e sulla politica estera statunitense.