I principali media occidentali sono pieni di titoli che elogiano Masoud Pezeshkian, il nuovo presidente dell'Iran, presumibilmente "riformista". L'aggettivo "riformista" accompagna puntualmente il suo nome, evidenziando così una forte estraneità verso i mullah al potere in Iran e il loro establishment teocratico.
Per essere un esponente politico nella Repubblica islamica dell'Iran e sopravvivere, bisogna abbracciare e aderire ai principi rivoluzionari fondamentali che sostengono il regime. La carica politica comporta la dimostrazione di una fedeltà incondizionata alla Guida Suprema, l'Ayatollah Ali Khamenei, e la piena approvazione senza riserve dell'inflessibile antiamericanismo e antisemitismo del regime. Inoltre, qualsiasi esponente politico iraniano deve essere pronto ad applicare rigorosamente le leggi islamiste del governo e a contrastare qualsiasi forma di opposizione alla Repubblica islamica. Il panorama politico in Iran non tollera dissenso né deroghe a questi principi fondamentali, garantendo che soltanto coloro che si conformano completamente all'ideologia del regime possano navigare nelle acque insidiose della politica del regime.
In Iran, chiunque cerchi davvero di riformare il sistema rischia di essere rapidamente eliminato, se non giustiziato. Questa dura realtà sottolinea la natura suicida del tentativo di sfidare lo status quo. Di conseguenza, etichettare i politici del regime come "riformisti" non è solo fuorviante, ma anche un affronto alla memoria degli innumerevoli iraniani che hanno perso la vita nella lotta per una vera riforma e un cambiamento sistemico. Questi coraggiosi individui sono stati brutalmente vessati dal regime per i loro sforzi di apportare una trasformazione volta ad abbattere una società della paura, il che rende assolutamente necessario riconoscere la differenza tra coloro che operano in seno al sistema e coloro che hanno sacrificato tutto nel perseguimento di una vera riforma.
Pezeshkian, il quale è stato risibilmente etichettato come "riformista" dai media mainstream occidentali, è, in realtà, un convinto sostenitore della potentissima milizia del regime, ufficialmente designata come un'organizzazione terroristica, il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica (IRGC). L'IRGC ha contraccambiato la cortesia e ha offerto il suo sostegno a Pezeshkian. Il nuovo presidente iraniano indossa spesso in Parlamento un'uniforme dell'IRGC, a simboleggiare la sua profonda fedeltà a questa potente organizzazione militare. "Indosserei di nuovo l'uniforme dell'IRGC", ha affermato. "Se il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica non esistesse, la nazione sarebbe divisa".
Pezeshkian ha biasimato pubblicamente gli Stati Uniti per aver designato l'IRGC come organizzazione terroristica. Essendo un sostenitore del regime sin dalla sua nascita, avvenuta quasi quattro decenni fa, la sua consolidata fedeltà alla Repubblica islamica è indiscutibile. Il placet dato alla sua candidatura alla presidenza iraniana da parte del rigorosissimo e intransigente Consiglio dei Guardiani evidenzia la sua piena sintonia con i principi rivoluzionari fondamentali che sono alla base della Repubblica islamica.
Questa, purtroppo, non è la prima volta che i principali mezzi di informazione occidentali etichettano frettolosamente i politici iraniani come "moderati" o "riformisti". Gli ingenui media occidentali hanno definito come tale Hassan Rouhani, il quale è stato presidente della Repubblica islamica dal 2013 al 2021. Come evidenziano i riscontri storici, ogni volta che un cosiddetto "riformista" o "moderato" assume la presidenza, il sistema politico dei mullah al potere rimane fermamente immutato.
Il regime utilizza questi cosiddetti "riformisti" o "moderati", con il loro atteggiamento apparentemente amichevole e gli appelli a migliorare le relazioni e alla "pace", per ingannare l'Occidente. In realtà, il loro unico obiettivo è quello di far rimuovere le sanzioni, generare più entrate e, in ultima analisi, rafforzare l'IRGC, la Guida Suprema, il sistema del regime e la sua rete di proxies e gruppi terroristici.
Queste figure politiche sono strategicamente posizionate per creare un miraggio: l'illusione di una potenziale riforma per indurre l'Occidente in un falso senso di sicurezza, mentre gli obiettivi centrali del regime rimangono invariati e la campagna di espansione tramite i proxies e il programma nucleare vanno avanti.
L'inopportuno "accordo sul nucleare", il Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA), si è incentrato sulla determinazione dell'Iran ad avere armi nucleari e missili balistici per trasportarle. Quando, durante l'amministrazione del presidente degli Stati Uniti George W. Bush, l'economia iraniana è stata gravemente paralizzata a causa di severe sanzioni, il regime iraniano ha predestinato Rouhani ad essere un cosiddetto "moderato" e gli ha consentito di candidarsi alla presidenza.
I creduloni media occidentali e i funzionari da loro protetti (entrambi i quali hanno mentito per incoraggiare la "Russia Hoax" contro il presidente degli Stati Uniti Donald J. Trump e per accreditare la lettera mendace firmata da 51 ex funzionari dei servizi di intelligence americani che sostenevano che il laptop di Hunter Biden aveva "i tratti distintivi di un'operazione russa", come pure hanno mentito per celare il declino cognitivo del presidente americano Joe Biden) sembrano impazienti di fare il gioco del regime iraniano presentando con entusiasmo Pezeshkian come un "moderato".
La presidenza di Rouhani ha rivitalizzato il regime, assicurandosi i fondi dell'amministrazione Obama che senza dubbio hanno contribuito a finanziare un accordo sul nucleare che, dopo qualche anno, avrebbe consentito al regime iraniano di possedere tutte le armi nucleari che desiderava.
L'inopportuno JCPOA ha portato alla revoca delle sanzioni e ha reintegrato l'Iran nel sistema finanziario mondiale. Miliardi di dollari sono confluiti nelle casse iraniane. Quell'afflusso di denaro ha finito per rafforzare il regime, l'IRGC e le loro operazioni, dimostrando non solo l'abilità di Teheran nel manipolare ingenui funzionari occidentali per raggiungere i propri obiettivi strategici, ma ancora peggio: ha messo a nudo la credulità degli Stati Uniti e dell'Occidente che incappano volentieri in questi miraggi e in queste trappole orchestrati.
Majid Rafizadeh, accademico di Harvard, politologo e stratega, consulente aziendale, è anche membro del consiglio consultivo della Harvard International Review e presidente dell'International American Council on the Middle East. È autore di numerosi libri sull'Islam e sulla politica estera statunitense. Può essere contattato all'indirizzo e-mail Dr.Rafizadeh@Post.Harvard.Edu