Per decenni, il coraggioso popolo iraniano si è ribellato più volte, chiedendo un futuro libero dall'oppressione e dal regime autoritario.
Negli ultimi anni, gli iraniani hanno avviato innumerevoli rivolte, ciascuna piena di speranza e coraggio, solo per incontrare la violenta repressione del regime e, soprattutto, l'indifferenza dall'estero. Ogni ondata di proteste ha visto le forze di sicurezza uccidere migliaia di manifestanti e imprigionarne e torturarne molti altri. Questi movimenti hanno dimostrato la forza della determinazione del popolo iraniano, ma nonostante le loro grida di libertà, il sostegno dell'Occidente agli ideali della democrazia, in genere soltanto a parole, è rimasto purtroppo tiepido.
Agli occhi di molti iraniani, questo silenzio da parte delle nazioni democratiche che dovrebbero difendere i diritti umani risulta essere in paradossale e inammissibile contrasto con i loro principi e ha fatto sì che i manifestanti iraniani si sentissero ripetutamente abbandonati nella loro lotta.
Durante le proteste nazionali del 2022, scatenate dalle leggi sull'hijab, molti iraniani, soprattutto le giovani donne, sono scesi in piazza per protestare contro l'obbligo di indossare il velo e altre politiche repressive. Il movimento ha rappresentato non solo una spinta contro i rigidi codici di abbigliamento islamici, ma anche un più ampio rifiuto del governo autoritario del regime. Anche durante la repressione, con il regime che ha arrestato, picchiato e persino ucciso i manifestanti, la risposta occidentale è rimasta in gran parte passiva e inerte, invece di offrire un forte sostegno. Gli iraniani che rischiavano la vita nelle strade, incoraggiati dalla speranza della solidarietà internazionale, sono stati lasciati senza il sostegno che molti si aspettavano dai Paesi che professano di sostenere la libertà e i diritti umani.
Nel 2009, il movimento di protesta, noto anche come Green Movement o Movimento Verde, scese in piazza in Iran dopo delle discutibili elezioni presidenziali. Milioni di iraniani riempirono le strade scandendo slogan, sventolando striscioni e denunciando quello che a molti sembrava un risultato elettorale fraudolento. I manifestanti cercarono il riconoscimento dei leader mondiali, in particolare da parte dell'amministrazione Obama negli Stati Uniti e dei leader europei, nella speranza che queste nazioni democratiche sostenessero la loro richiesta di un processo elettorale equo e la fine dell'oppressione.
I manifestanti inneggiavano slogan del tipo "Obama, sei con noi o con i mullah?", un appello diretto all'allora Presidente degli Stati Uniti Barack Obama affinché prendesse posizione. Tuttavia, con disappunto di molti iraniani, i leader occidentali rimasero in gran parte in silenzio, scegliendo di non intervenire e di non offrire alcun sostegno concreto. Obama ammise in seguito che il silenzio della sua Amministrazione durante questo periodo critico era stato un "errore", ma anche allora accennò solo a un sostegno verbale e inefficace:
"A posteriori, penso sia stato un errore. Ogni volta che vediamo un lampo, un barlume di speranza, di persone che desiderano ardentemente la libertà, penso che dobbiamo rilevarlo. Dobbiamo puntare i riflettori su di esso. Dobbiamo esprimere solidarietà al riguardo".
Mentre la maggior parte delle nazioni democratiche ha esitato ad allinearsi visibilmente con i movimenti pro-democrazia presenti in Iran, un Paese si è distinto come alleato incrollabile del popolo iraniano ossia Israele. Nonostante l'inimicizia di lunga data tra Israele e il regime iraniano, i leader israeliani hanno sostenuto con coraggio il diritto del popolo iraniano alla libertà e all'autodeterminazione. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, definito "il Churchill del Medio Oriente", non solo ha affrontato le minacce nucleari dell'Iran (quando gli Stati Uniti non hanno compromesso irrimediabilmente Israele facendo trapelare i suoi piani in anticipo), ma ha raggiunto direttamente gli iraniani attraverso i social media, incoraggiandoli a non perdere la speranza. "C'è una cosa che il regime di Khamenei teme più di Israele", ha dichiarato Netanyahu in un messaggio condiviso su X. 'Siete voi, il popolo iraniano'. E ha aggiunto:
"Spendono così tanto tempo e denaro nel tentativo di distruggere le vostre speranze e frenare i vostri sogni. Non lasciate morire i vostri sogni. Non perdete la speranza e sappiate che Israele e altri nel mondo libero sono al vostro fianco".
Netanyahu si è spinto oltre, immaginando un futuro in cui un Iran libero potrebbe sbloccare tutto il proprio potenziale. Ha sottolineato che, con un governo diverso, i bambini iraniani potrebbero accedere a un'istruzione di livello mondiale, la popolazione potrebbe beneficiare di un'assistenza sanitaria avanzata e le infrastrutture del Paese potrebbero essere ricostruite per fornire acqua pulita e servizi essenziali. Netanyahu ha persino promesso l'assistenza di Israele nella ricostruzione delle infrastrutture iraniane in declino, citando come esempio la tecnologia di desalinizzazione all'avanguardia di Israele.
"Dall'ultima volta che vi ho parlato", ha continuato Netanyahu, "il regime di Khamenei ha lanciato centinaia di missili balistici contro il mio Paese, Israele. Questo attacco è costato 2,3 miliardi di dollari". In effetti, questi miliardi, invece di essere spesi per attacchi futili, avrebbero potuto essere destinati alle esigenze del popolo iraniano, rafforzando il sistema educativo e sanitario o migliorando i trasporti. Inquadrando la questione in termini di spreco di risorse, Netanyahu ha evidenziato le spese sconsiderate del regime a scapito dei propri cittadini, rilevando che il popolo iraniano merita di meglio.
A quanto pare, messaggi del genere hanno toccato profondamente molti iraniani che vedono in un altro Paese un faro di speranza e un segno che non sono completamente soli nella loro lotta contro la repressione del regime:
"L'8 ottobre, il giorno dopo gli attentati [di Hamas del 2023] (...) alcune figure filogovernative hanno cercato di issare la bandiera palestinese dagli spalti. Il contraccolpo che hanno subito è stato immediato. Migliaia di tifosi hanno iniziato a urlare uno slogan formulato con il tono (...) chiassoso dei tifosi di calcio di tutto il mondo: 'Ficcatevi la bandiera palestinese su per il c**o'".
La posizione di Israele è in netto contrasto con quella di molti Paesi occidentali, in particolare quelli europei. Mentre Israele, una nazione attualmente sotto attacco su più fronti, ha sostenuto fermamente il popolo iraniano, molti Paesi europei hanno continuato a dare priorità ai rapporti economici con Teheran rispetto ai diritti umani.
I governi europei, piuttosto che rischiare lo scontro con il regime iraniano, hanno preferito mantenere relazioni commerciali ed evitare di prendere posizioni che potessero turbare i mullah. Questi Paesi sono complici delle sofferenze del popolo iraniano. Il persistente silenzio incoraggia il regime, invece di renderlo responsabile.
Dopo quasi quattro decenni di relazioni diplomatiche con la Repubblica Islamica dell'Iran, è giunto il momento che le nazioni occidentali prendano una vera posizione. Se questi Paesi credono davvero nei principi di "democrazia" e "libertà" che tanto spesso predicano, apparirebbero molto più credibili se dimostrassero questo impegno professato, sostenendo realmente gli iraniani che anelano alla libertà.
Ciò significherebbe tagliare i legami diplomatici con l'Iran, imporre e far rispettare al regime pesanti sanzioni primarie e secondarie, mettere sul tavolo opzioni militari e sostenere pienamente Israele e, si spera, che la prossima amministrazione statunitense ponga fine in modo permanente al programma nucleare iraniano e al suo regime brutale ed espansionista.
Solo allora le azioni di queste nazioni saranno in linea con la loro sospetta retorica sui "diritti umani" e dimostreranno di essere disposte a fornire un reale sostegno a coloro che rischiano la vita per il cambiamento in uno degli Stati più repressivi del mondo.
Majid Rafizadeh, accademico di Harvard e politologo. È autore di numerosi libri sull'Islam e sulla politica estera statunitense. Può essere contattato all'indirizzo e-mail Dr.Rafizadeh@Post.Harvard.Edu