Il governo iracheno e le Nazioni Unite di recente hanno iniziato a esumare i corpi sepolti in una fossa comune a Sinjar, alla presenza di Nadia Murad, vincitrice del premio Nobel per la Pace, i cui familiari uccisi sarebbero stati seppelliti in quell'area. Nella foto: Nadia Murad parla al National Press Club, l'8 ottobre 2018, a Washington, DC. (Foto di Tasos Katopodis/Getty Images) |
Un gruppo di yazidi che ha organizzato una manifestazione di protesta all'esterno della Casa Bianca, il 15 marzo scorso, ha chiesto all'amministrazione Trump di localizzare o salvare le circa 3 mila donne e bambine catturate, tenute prigioniere o uccise dai terroristi dell'Isis.
I manifestanti hanno attirato l'attenzione sul recente episodio in cui i miliziani dell'Isis, in fuga da una delle loro ultime roccaforti nella parte orientale della Siria, hanno decapitato 50 donne yazide che erano schiave sessuali dei terroristi dello Stato islamico.
La maggior parte dei partecipanti alla manifestazione sono sopravvissuti agli attacchi genocidi dell'Isis perpetrati contro gli yazidi, una minoranza non musulmana autoctona in Iraq, Siria e in Turchia.
Secondo uno studio del 2017 pubblicato sulla rivista scientifica, PLOS Medicine, nell'agosto del 2014,
"Circa 3.100 yazidi sono stati uccisi [in Iraq], di cui quasi la metà di loro sono stati giustiziati (...) trucidati, decapitati o bruciati vivi – mentre il resto sono morti sul monte Sinjar per fame, per disidratazione o per le ferite riportate durante l'assedio dell'Isis. (...) Il numero stimato delle persone prese in ostaggio è 6.800. Coloro che sono riusciti a scappare hanno raccontato degli abusi subiti, tra cui la conversione religiosa forzata, le torture e la schiavitù sessuale. Oltre un terzo di quelli che sono stati rapiti non erano stati ancora ritrovati al momento della pubblicazione dello studio (...) Tutti gli yazidi sono stati presi di mira (...) ma i bambini sono stati colpiti in modo sproporzionato: pur avendo la stessa probabilità degli adulti di essere giustiziati, costituivano il 93 per cento di coloro i quali sono morti sul monte Sinjar. Inoltre, i bambini rappresentavano solo il 18,8 per cento degli yazidi che sono riusciti a sfuggire alla prigionia".
Tali storie dell'orrore dovrebbero conquistare le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, ma purtroppo vengono ignorate. Al contrario, è stata prestata molta attenzione alla storia di Shamima Begum, una donna di origine britannica che ha lasciato il Regno Unito nel 2015 per unirsi all'Isis in Siria e che intendeva tornare in patria nel febbraio scorso. Il caso della Begum ha suscitato un ampio dibattito sulla condizione e sul trattamento dei jihadisti occidentali che cercano di tornare a vivere nei loro paesi di origine o che gli hanno concesso la naturalizzazione e di mantenere la cittadinanza.
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Alcuni opinionisti hanno dipinto la Begum come una vittima "dell'adescamento" e " del lavaggio di cervello" da parte dei terroristi dello Stato islamico a cui si è unita. In un'intervista rilasciata a Sky News nel febbraio scorso, la Begum ha dichiarato di essere stata pienamente consapevole delle decapitazioni e delle altre atrocità commesse dall'Isis prima di recarsi in Siria. "Ero al corrente di quanto accadeva e mi stava bene", ha detto. "Perché ho iniziato a diventare religiosa poco prima di partire. Da quanto ho appreso, islamicamente è tutto permesso".
Alla domanda se avesse messo in discussione queste cose, la donna ha risposto: "No, niente affatto".
La Free Yezidi Foundation, che chiede giustizia per le vittime e i sopravvissuti del genocidio dell'Isis, ha espresso rabbia e frustrazione per la sensibile attenzione che la Begum, la quale si è unita allo Stato islamico di sua spontanea volontà, ha ricevuto da alcuni politici in Gran Bretagna.
Rivolgendosi alla parlamentare britannica Diane Abbott, la quale ha affermato che rendere la Begum "apolide" è "insensibile e disumano", la Free Yezidi Foundation ha twittato:
"Lo sa che alcune delle nostre bambine di appena SEI ANNI, sono state letteralmente vendute ai mercati degli schiavi nel #territorio dell'Isis? Quando gli uomini uscivano per combattere era una #ISISBRIDE (una sposa dell'Isis) che le chiudeva in casa.
"Inoltre, era una #ISISbride che lavava, vestiva e truccava le donne e le ragazze #Yazidi #Yezidi preparandole per essere stuprate o vendute. Molti uomini e donne criminali erano #British (britannici), non potremmo piuttosto attirare l'attenzione sul genocidio disumano e insensibile che hanno compiuto?...
"...è un abominio che il benessere di questa donna e del suo bambino riceva un'attenzione così enorme, mentre le MIGLIAIA di donne che sono state rapite e costrette in schiavitù dalla sua organizzazione (con la partecipazione delle donne dell'Isis) non la ricevono".
Uno dei partecipanti alla manifestazione di protesta di Washington, Salim Shingaly – un attivista yazida iracheno – ha detto al Gatestone Institute:
"Mentre speravamo di riunirci con le donne e le bambine yazide rapite dai terroristi dell'Isis, di recente, abbiamo appreso che 50 di loro sono state decapitate. Intanto, quelli che hanno stuprato e ucciso le nostre donne sono liberi di tornare nei loro paesi e vivere una vita normale. Questo ci fa pensare che non abbiamo valore come esseri umani agli occhi degli altri: stiamo per perdere la nostra fede nell'umanità".
E Shingaly ha aggiunto:
"Dovrebbe essere ovvio per i governi occidentali rendersi conto che i terroristi dell'Isis rappresenterebbero un enorme rischio per i paesi che li lasciano tornare".
Dawood Saleh, un sopravvissuto al genocidio degli yazidi e autore del libro Walking Alone, ha detto al Gatestone:
"Mi dispiace così tanto per le migliaia di donne e bambini della comunità yazida che soffrono per mano dell'Isis, mentre alcuni media occidentali stanno cercando di banalizzare le azioni di coloro che hanno violentato, torturato e ucciso la nostra gente. Questi media non danno abbastanza voce ai sopravvissuti yazidi.
"La mia famiglia ha perso la casa ed è finita in un campo profughi dove vive da quasi cinque anni, a causa delle azioni dei mostri dell'Isis. Lo Stato islamico ha distrutto i nostri villaggi e i templi, e ci ha costretti a disperderci in ogni parte del mondo. Ignorando le nostre sofferenze, pur dando una copertura mediatica positiva alle 'spose" dell'Isis o ai miliziani che tornano in Occidente, alcuni organi di stampa e politici occidentali stanno distruggendo ogni barlume di speranza che noi che siamo sopravvissuti al genocidio potremmo nutrire".
Adil Suliman, un attivista yazida che ha partecipato alla manifestazione di protesta, ha detto al Gatestone:
"Gli yazidi presenti in Iraq hanno paura che tutte le atrocità compiute dall'Isis si ripetano, perché gli yazidi vivono ancora in mezzo ai musulmani, e i musulmani non ci ritengono esseri umani".
Haji Ali Hameka, un altro attivista e interprete yazida, ha espresso disappunto per il recente caso di una sopravvissuta al genocidio, la quale è rimasta inorridita quando ha incontrato in Canada il suo rapitore e stupratore dell'Isis.
"È molto deludente sentire che i governi occidentali stanno permettendo ai criminali che hanno violentato e decapitato persone innocenti di tornarsene impunemente a casa", ha dichiarato Hameka al Gatestone. E ha ribadito:
"Un criminale è un criminale, che sia occidentale o mediorientale. Lo Stato di diritto deve prevalere ovunque. Non penso che ci sia un combattente dell'Isis che non abbia stuprato o ucciso. Le punizioni per le loro azioni dovrebbero essere severe. Come può il Canada consentire a questi terroristi di essere a piede libero?"
Anche Nawaf Ashur Yousif Haskan, uno studioso yazida iracheno, ha dichiarato quanto segue al Gatestone:
"Ci opponiamo fermamente alla decisione dell'Occidente di far tornare nei loro paesi d'origine questi miliziani dell'Isis e le loro spose. Piuttosto, dovrebbero essere incarcerati e processati in Iraq da un tribunale internazionale per tutto ciò che hanno fatto in Siria e in Iraq. Ognuno di loro ha sposato una pericolosa ideologia. Noi diciamo all'Occidente: se non vuoi che le donne occidentali subiscano ciò che è accaduto alle donne yazide, allora non lasciare che questi perpetratori tornino".
Il giorno della manifestazione di protesta di Washington, il governo iracheno e le Nazioni Unite hanno iniziato a riesumare i corpi sepolti in una fossa comune a Sinjar, alla presenza di Nadia Murad, vincitrice del premio Nobel per la Pace, i cui familiari uccisi sarebbero stati seppelliti in quell'area. Sul sito web ufficiale della Murad si legge che quella è stata la prima esumazione di corpi in una fossa comune contenente i resti degli yazidi uccisi dai loro aguzzini dell'Isis.
Di quali ulteriori prove ha bisogno l'Occidente per considerare le vittime dei terroristi dell'Isis più meritevoli di copertura mediatica e di comprensione rispetto ai terroristi "di ritorno" e alle loro spose compiacenti?
Uzay Bulut, una giornalista turca, è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute.