Poco più di un anno fa, il mondo fu sconvolto dal drammatico bilancio delle vittime di due stragi perpetrate in Kenya e in Pakistan, quando i jihadisti, in due diversi attacchi sferrati in un solo fine settimana, uccisero 150 innocenti – con l'attentato di Nairobi in cui persero la vita persone di età compresa fra i 2 e 78 anni. In un discorso pubblico pronunciato dopo quel "weekend nero", il premier turco Recep Tayyip Erdogan (ora presidente) sembrò affranto. In effetti, era triste.
Ma non per le vittime degli attacchi terroristici del fine settimana precedente. Era in lutto per Asmaa al-Beltagi, una diciassettenne egiziana che era stata uccisa dalle forze di sicurezza al Cairo mentre stava protestando per la cacciata di Mohamed Morsi, il presidente egiziano legato ai Fratelli musulmani deposto da un colpo di Stato. Il padre di Asmaa era una figura di spicco dei Fratelli musulmani e dopo la morte della ragazza, Erdogan continuò a versare le sue lacrime anche in un discorso televisivo, per poi commemorarla in quasi ogni comizio elettorale.
Già nel 2013, i compagni egiziani di Erdogan, i Fratelli musulmani, avevano perpetrato i peggiori attacchi sferrati contro la Chiesa copta d'Egitto a partire dal XIV secolo. In una sola settimana, 40 chiese furono saccheggiare e date alle fiamme, mentre altre 23 furono attaccate e gravemente danneggiate. In una città, dopo aver bruciato una scuola francescana, gli islamisti fecero sfilare per le strade cittadine tre suore, come se fossero prigioniere di guerra.
Due guardie giurate che lavoravano su un battello di proprietà di alcuni cristiani furono bruciate vive e un orfanotrofio fu dato alle fiamme. Nel frattempo, nella pagina Facebook dei Fratelli musulmani si leggeva che "la Chiesa ha dichiarato guerra contro l'Islam e i musulmani".
Se oggi si digitano su Google le parole "Islam" e "terrorismo" eseguendo una rapida ricerca, si ottengono oltre 42 milioni di risultati. Ma una delle frasi più famose pronunciate da Erdogan è la seguente: "Non esiste alcun terrorismo islamico". Più volte egli ha asserito che "i musulmani non ricorrono mai alla violenza" e ha anche detto, a proposito di Omar al-Bashir, il presidente musulmano del Sudan che è ricercato per genocidio e crimini contro l'umanità dalla Corte penale internazionale: "Sono stato in Sudan e non ho visto nessun genocidio lì. I musulmani non ricorrono mai al genocidio".
Le organizzazioni terroristiche islamiche di tutto il mondo devono essersi rammaricate del fatto che Erdogan neghi costantemente la loro esistenza, gli atti terroristici da loro perpetrati e gli obiettivi dichiarati. E così esse hanno inviato a bussare alla sua porta uno dei loro gruppi in modo che egli potesse avere ripensamenti sul suo "negazionismo".
Si stima che gli estremisti dello Stato islamico dell'Iraq e della Siria (Isis) abbiano ucciso in Siria e in Iraq "diverse migliaia" di innocenti dalla scorsa estate, quando il gruppo ha conquistato ampie porzioni di territorio nei due paesi confinanti con la Turchia. Solo domenica scorsa, una cinquantina di iracheni, tra cui donne e bambini, tutti appartenenti alla stessa tribù, sono stati messi in fila e freddati dai jihadisti dell'Isis. Le uccisioni, tutte commesse pubblicamente, hanno fatto salire il numero delle vittime della tribù sunnita al-Bu Nimr a 150. All'inizio della settimana scorsa, l'organizzazione Human Rights Watch ha reso noto che l'Isis a giugno ha ucciso 600 prigionieri del carcere di Mosul, la seconda città più grande dell'Iraq.
Paradossalmente, sempre a giugno, gli stessi uomini hanno rapito 49 turchi, tra cui il console generale turco a Mosul e i dipendenti del consolato insieme alle loro famiglie, tenendoli in ostaggio per 101 giorni prima di decidere di liberarli grazie a uno scambio di prigionieri con i terroristi dell'Isis ospiti delle carceri turche. Nessuno di questi episodi sembra aver convinto Erdogan che i terroristi uccidono solo per il progresso universale del salafismo e che essi stessi dicono di essere musulmani.
Dopo un incontro a Parigi con il presidente francese François Hollande, Erdogan ha tenuto una conferenza e ha accusato "chi cerca di presentare l'Isis come un'organizzazione islamica...". Per fortuna, egli non ha detto che l'Isis è un'organizzazione ebraica.
Ma ha asserito altre cose che devono aver inorridito la platea di Parigi, come: "Intendiamoci, sto volutamente evitando l'uso dell'acronimo Isis (perché contiene l'aggettivo 'islamico'). Uso il nome 'Daesh' perché questi sono terroristi". Chiamatelo lapsus, ma non esiste la parola o l'acronimo "Daesh" (che è un adattamento di "Ad-Dawla as-Islamiya fi'l-Iraq wa'sh Sham").
Bel tentativo da parte di Erdogan, ma non abbastanza intelligente. L'acronimo arabo "Daesh" annovera altresì l'aggettivo islamico ("al-Islamiya"). La prossima volta Erdogan potrebbe cercare un acronimo sanscrito, zulu, swahili, malgascio o Kx'a per i jihadisti, ma per la semplice logica degli acronimi, questa sigla dovrebbe contenere il termine "islamico".
La conferenza di Erdogan a Parigi ha evidenziato una logica mentale più interessante. I media internazionali, egli ha detto, sono impegnati negli sforzi sistematici di presentare la Turchia come un paese che appoggia il "Daesh". Il presidente turco ha tutto il diritto di opporsi con ogni mezzo a tale presentazione a prescindere dal fatto che non sia convincente. Ma Erdogan non si è fermato lì. Egli ha asserito che i membri di quei media sono "a tutti gli effetti traditori!" E ha lasciato alla platea i compito di scoprire come i cittadini stranieri potrebbero anche essere dei traditori turchi.
Era un Erdogan al suo meglio. Non esiste alcun terrorismo islamico. L'Isis non è un'organizzazione islamica e il suo nome non è neppure Isis. È "Daesh" E i giornalisti stranieri ordiscono un tradimento contro la Turchia.
Burak Bekdil, vive ad Ankara ed è columnist del quotidiano Hürriyet Daily e membro del Middle East Forum.