Oggi, giovedì 25 febbraio 2016, la città di Ottawa ospiterà un'iniziativa pubblica per celebrare lo hijab (il velo islamico, N.d.T.), la repressione fisica delle donne imposta dall'Islam.
L'organizzazione City for All Women Initiative (CAWI), con il sostegno dell'amministrazione comunale di Ottawa, celebrerà in municipio l'Ottawa Hijab Solidarity Day, un'iniziativa chiamata anche "Camminiamo insieme alle nostre sorelle musulmane". Secondo la CAWI, l'obiettivo principale di questo evento è quello di incoraggiare le donne non musulmane a indossare lo hijab per comprendere come vive una donna musulmana.
È però vergognoso che un evento del genere si svolga sotto l'egida del Comune di Ottawa, la capitale del Canada. Secondo la legge islamica della Shari'a, lo hijab è un'espressione della repressione delle donne e viene utilizzato dagli uomini come uno strumento per perseguitare le donne.
Per molte donne musulmane laiciste e che hanno abiurato l'Islam, lo hijab è tutt'altro che un simbolo di libertà. Esso serve da promemoria quotidiano del fatto che le donne sono cittadine di seconda classe agli occhi dell'Islam.
I sostenitori dello hijab mi hanno gettata in prigione per 18 mesi quando avevo 16 anni, per aver protestato contro l'estremismo islamico. I miei familiari ed io siamo stati costretti a fuggire e alla fine abbiamo trovato rifugio in Canada.
Da allora lavoro per mostrare la verità sul regime iraniano guidato dalla Shari'a, e anche per promuovere e sostenere l'emancipazione delle minoranze e delle donne.
Il fatto che i detrattori dell'evento organizzato dalla CAWI, compresa la sottoscritta, siano stati a torto definiti "islamofobi", non potrebbe essere più lontano dalla verità. Una donna che vive in Canada ha diritto di indossare ciò che vuole – ma perché celebrare lo hijab, piuttosto che il crocifisso o una kippah? Non spetta al governo farlo.
In Iran, dove sono nata, le donne stanno lentamente iniziando a lottare contro la repressione del regime dettata dalla Shari'a. My Stealthy Freedom si definisce come "un movimento sociale online in cui le donne iraniane condividono foto che le ritraggono senza indossare lo hijab".
Il fatto che in Iran le donne musulmane arrivino a esporsi in modo così pericoloso, rischiando l'arresto e perfino la morte, per protestare contro l'oppressione esercitata dalla loro stessa religione è di per sé un atto significativo.
Costringere le donne a indossare lo hijab non riguarda solo l'Iran. In Afghanistan e in alcune parti dell'Arabia Saudita, le donne rischiano percosse, multe e cose ben peggiori se mostrano i loro capelli. Nel 2002, in Arabia Saudita, "la polizia religiosa ha impedito ad alcune studentesse di lasciare un edificio in fiamme perché non indossavano adeguati abiti islamici (...) foulard e abaya (tuniche nere) imposti dalla rigida interpretazione dell'Islam". Quindici ragazze sono morte nel fuoco e più di 50 sono rimaste ferite.
In una pratica avviata dai musulmani, la purdah, le donne sono isolate dalla società, letteralmente imprigionate dai loro familiari.
È erroneo presumere che le donne islamiche non subiscano persecuzioni da parte dei musulmani all'interno dei confini canadesi. Nel 2007, Aqsa Parvez, una 16enne musulmana pakistana che viveva a Toronto è stata strangolata dal marito. Il suo crimine era quello di aver scelto – da donna libera in Canada – di non indossare uno hijab.
Nel 2012, in un altro episodio avvenuto in Canada, Mohammad Shafia, originario dell'Afghanistan, sua moglie e il loro figlio furono giudicati colpevoli di aver ucciso per motivi d'onore le giovani Zainab, di 19 anni, Sahar, di 17, e Geeti, di 13 anni – rispettivamente figlie e sorelle degli imputati – e la seconda moglie di Mohammad, Rona Mohammad Amir, 50 anni. Tutte e quattro le donne furono uccise dai familiari per essersi rifiutate di indossare uno hijab, preferendo un abbigliamento occidentale.
Il fatto che un governo accetti di celebrare una Giornata per testimoniare solidarietà con chi indossa lo hijab equivale ad accettare una sistema giuridico radicale che è in netto contrasto con i valori democratici del Canada e oltrepassa la linea che separa Chiesa e Stato. Essere favorevoli all'uso dello hijab significa approvare il primo passo verso un'ideologia estremista che porta ai delitti d'onore, alla pratica della mutilazione genitale femminile (MGF) e all'oppressione delle donne, e li giustifica.
Quando la sottoscritta ha inviato una lettera aperta al sindaco di Ottawa Jim Watson, in risposta, il suo portavoce ha detto all'Ottawa Sun che il sindaco non interverrà "in questa divergenza di opinioni tra questa persona e gli organizzatori dell'evento" poiché questa iniziativa "è conforme alle politiche attinenti (...) Non spetta a me dire alle persone cosa dovrebbero indossare". E un governo democratico non deve celebrare i simboli religiosi né aiutare le religioni a svolgere attività di proselitismo.
Forse l'amministrazione comunale di Ottawa vorrebbe celebrare la "Giornata del crocifisso", la "Giornata della kippah" e la "Giornata del turbante parsi"?
Il Comune di Ottawa, la capitale del Canada, deve riconsiderare seriamente il sostegno dato all'evento organizzato dalla CAWI.
Shabnam Assadollahi, che è dovuta fuggire dall'Iran per aver protestato contro l'estremismo islamico, è un'attivista per i diritti umani che vive in Canada.