È davvero difficile accontentare chi odia Israele.
Quando gli ebrei non possono proteggersi perché non hanno un esercito, sono "codardi" e vengono perseguitati in Turchia e in tutto il mondo. Quando, invece, si proteggono, grazie alle loro forze armate, allora sono "oppressori".
Per gli antisemiti o per chi è anti-israeliano, Israele è il problema.
Molti di noi che vivono in altri paesi del Medio Oriente vedono Israele come l'unico faro di libertà e democrazia in mezzo alle tenebre, al terrorismo e all'odio nella regione.
Proprio di recente, il 12 gennaio scorso, Mahmoud Abbas, un negazionista dell'Olocausto e glorificatore del terrorismo, ha incontrato ad Ankara il presidente turco Recep Tayyip Erdogan.
Prima di allora, il 27 dicembre, il leader di Hamas Khaled Meshaal ha parlato al congresso dell'Akp, il partito al potere in Turchia, e ha detto: "Ad Allah piacendo, in futuro, libereremo di nuovo la Palestina e Gerusalemme".
La folla presente al congresso gridava slogan: "Mujahid Mashaal", "Hamas, sono pronto a dare la mia vita per te" e "Abbasso Israele!"
Il problema è che il concetto di vera libertà e democrazia sembra essere estraneo agli antisemiti. Pertanto, pare che molti di questi autoproclamati progressisti abbiano un'idea arrogante di ciò che è giusto e sbagliato, avendo una mentalità miope, ostile alla libertà e antidemocratica come quella del più rigido tiranno. Quando la gente parla di Israele come se fosse "il problema", intende dire che l'esistenza stessa di Israele è il problema.
Quando la gente mostra solidarietà nei confronti dei Fratelli musulmani o Hamas oppure di chi è messo in carcere, è processato o viene frustrato per essersi esposto a favore della libertà di espressione, è solo un'altra prova della legittimità di Israele.
Quando la gente di questa regione dice: "Abbasso Israele!" in realtà, intende dire: non vogliamo la democrazia e non vogliamo l'eguaglianza. Vogliamo che il nostro Stato sia supremo e che gli ebrei siano apolidi e indifesi. Non vogliamo la saggezza né il sapere degli ebrei. Abbiamo solo bisogno di più ignoranza, arroganza e inimicizia. Siamo ignoranti e siamo felici di esserlo. E se possibile, vogliamo un altro Olocausto, proprio come chiede Hamas. Allo stesso tempo, vogliamo una pace definitiva. E questa è la nostra interpretazione della pace.
Israele è il luogo dove gli antenati degli ebrei vissero, impararono e faticarono. Gli ebrei devono stare lì non solo per proteggersi da altri massacri ma anche per imparare considerando che furono i loro avi a stabilire i primi principi di giustizia sociale dopo il Codice di Hammurabi. Ecco, tutto ciò che dovete fare è leggerli. Pagare l'operaio al tramonto. Non cuocere l'agnello nel latte di sua madre. Non rubare. Non uccidere. Questi sono i veri messaggi di libertà.
Gli ebrei sono il popolo autoctono di Israele e molte volte hanno teso la loro mano ai palestinesi e ad altri, e questa mano è stata rifiutata. Potrebbero difendersi dal lancio dei razzi; perché non dovrebbero farlo? Israele non ha nulla di cui scusarsi.
Si crede che in Turchia l'antisemitismo sia stato promosso dopo l'arrivo al potere nel 2002 del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp). Ma esaminando meglio la condizione degli ebrei nella Turchia moderna emerge chiaramente che non è così. La verità è che essere un ebreo in Turchia significa essere esposti a oltre 90 anni di discriminazioni sistematiche come pogrom, assimilazione forzata e divieti di utilizzare la propria lingua madre.
Il 21 novembre 2014, MEMRI (Middle East Media Research Institute) ha pubblicato un documento speciale che va assolutamente letto, dal titolo "In Turchia, l'antisemitismo raggiunge picchi elevati: minacce contro gli ebrei turchi, espressioni di ammirazione nei confronti di Hitler, richieste che gli ebrei siamo mandati nei campi di concentramento e che paghino una 'imposta speciale'".
In questo documento si legge: "Mentre il presidente Erdogan, nel discorso da lui pronunciato il 22 settembre 2014 al Council of Foreign Relations, negava che lui e il suo governo fossero in alcun modo antisemiti, i membri del suo partito twittavano da casa elogi per Hitler e i negozi di Istanbul esponevano cartelli con su scritto: "Vietato l'ingresso ai cani ebrei".
Come sottolinea MEMRI, è ovvio che sotto il governo dell'Akp l'antisemitismo, in Turchia, ha raggiunto picchi elevati. Ma queste realtà raccapriccianti non sono state causate solo dal partito islamista Akp né sono senza precedenti nella storia turca.
In Turchia, gli ebrei furono destinati ai battaglioni dei lavori forzati nel 1941-1942; furono tenuti a pagare una imposta speciale nel 1942-1944 e costretti all'assimilazione forzata. Nella stampa turca, essi furono sistematicamente oggetto di discorsi di incitamento all'odio, stampa che ebbe un ruolo nei pogrom contro gli ebrei scoppiati nel 1934 nella Tracia orientale. Con l'introduzione della legge sul cognome, i bambini ebrei dovettero cambiare i loro nomi e cognomi e adottare dei nomi e cognomi dal suono turco. Anche il ladino, la lingua parlata dagli ebrei turchi, fu messo al bando dal regime turco. Dal 1923, quando fu fondata la Repubblica turca, gli ebrei furono sistematicamente discriminati (come pure le altre comunità non-musulmane) e privati della loro libertà di movimento almeno tre volte: nel 1923, 1925 e nel 1927.
La Repubblica turca era stata fondata dal cosiddetto Partito repubblicano del popolo (Chp), di ispirazione "laica", che ora è il principale partito di opposizione nel parlamento turco.
Se l'antisemitismo emerso durante il governo dell'Akp è stato ampiamente segnalato dai media, l'antisemitismo che si è manifestato durante e dopo la creazione della Repubblica turca fu ampiamente trascurato.
In Turchia, l'antisemitismo ha una lunga storia e ha attecchito tra le autorità statali, l'opinione pubblica, gli ambienti politici (di destra e di sinistra), i gruppi islamisti e non, e in particolare nei media. Nessuna università turca ha un dipartimento di studi ebraici o sull'Olocausto. La nascita dello Stato ebraico nel 1948 trasformò l'antisemitismo in antisionismo, che sembra essere una forma tacita e falsa di antisemitismo.
Dalla fondazione della Repubblica turca nel 1923, fino al 1950, quando si svolsero le prime elezioni nazionali, queste pratiche antisemite furono messe in atto dai governi non islamisti del Chp, che fondò lo Stato turco.
È impossibile menzionare in un solo articolo tutti gli episodi di antisemitismo verificatisi in Turchia, ma una breve cronologia degli sviluppi più importanti riguardo agli ebrei potrebbe contribuire a capire che tipo di vita essi siano stati costretti a fare per decenni in Turchia.
Antisemitismo tradizionale e media turchi
La storica Ayse Hur, basandosi sugli scritti dello studioso indipendente Rifat Bali, ha raccontato alcune delle campagne antisemite della stampa turca durante i primi decenni di vita della Repubblica turca.[1]
Nel gennaio 1923, i quotidiani Turkish Voice (Türk Sesi) e Burnt Land (Yanık Yurt), pubblicati nella provincia di Izmir, chiesero ai commercianti turchi di lottare contro "la minaccia ebraica immorale e sordida". Gli articoli affermavano che gli ebrei erano il terreno fertile per la proliferazione di germi in Turchia e soprattutto a Izmir. Poi, Akbaba, una rivista satirica, si unì al coro, pubblicando una serie di pezzi che recavano titoli come: "Non hai capito che non si devono avere contatti con gli ebrei?" e "Permetteremo a questi germi di vivere con noi?"
Nel dicembre 1925, nei principali quotidiani fu avviata una campagna antisemita, dopo che furono diffuse delle voci che almeno 300 ebrei avevano inviato un telegramma per le celebrazioni del 435mo anniversario della scoperta dell'America da parte di Colombo. Gli articoli pubblicati definivano gli ebrei "ingrati" e "sanguisughe che si aggrappano alle spalle del paese", suggerendo che fossero esiliati, come soluzione. Alcune persone provocate da questi scritti uccisero un ragazzo ebreo e attaccarono la sinagoga della città di Kuzguncuk.[2] Non si sa se tale telegramma sia stato o meno inviato.
Nel gennaio 1937, le ondate fasciste e nazionalsocialiste dell'Europa arrivarono in Turchia. Un Ufficio informazioni tedesco fu aperto a Istanbul. I quotidiani Türkische Post e Cumhuriyet (The Republic) iniziarono a echeggiare la propaganda nazista.
Nell'agosto 1938, il governo emanò il decreto n. # 2/9498, che recitava: "Agli ebrei che sono esposti a pressioni per ciò che concerne le condizioni di vita e i viaggi in paesi di cui sono cittadini è vietato di entrare in Turchia e di risiedervi, a prescindere dalla loro religione". Ventisei impiegati ebrei della Anatolian News Agency, che allora era la sola agenzia stampa della Turchia, furono licenziati. Nei quotidiani e nelle riviste aumentò il numero degli articoli e delle vignette satiriche che ritenevano le minoranze, soprattutto gli ebrei, responsabili dei problemi che la Turchia stava attraversando.
Il 28 dicembre 1939, un forte terremoto colpì la provincia turca di Erzincan, uccidendo decine di migliaia di persone. Sentendo questo, le comunità ebraiche di Tel Aviv, Haifa, Buenos Aires, New York, Ginevra, del Cairo e di Alessandria d'Egitto, raccolsero denaro e indumenti e li inviarono in Turchia. Anziché apprezzare questo gesto, la stampa lo ridicolizzò, lasciando intendere che dietro ci fossero delle cattive intenzioni.
Nel 1948, quando gli ebrei volevano andare nel neonato Stato di Israele, la Turchia e i media di Stato, che avevano fatto tutto quanto era in loro potere perché gli ebrei abbandonassero la Turchia, ora definivano "traditori" chi voleva emigrare.
I primi codici degli armeni, greci e degli ebrei
Un ricerca effettuata dal quotidiano Radikal e le interviste fatte ad alcuni funzionari hanno rivelato una storia centenaria di discriminazioni operate in Turchia. Secondo quanto scoperto dal quotidiano, la Turchia, sin dalla fondazione della repubblica turca, ha segretamente assegnato dei codici alle varie comunità – armena, greca, ebraica, siriaca e altre non musulmane. Il Direttorio per la popolazione ha assegnato il codice numerico 1 ai greci, 2 agli armeni e 3 agli ebrei.
"Questo è ovviamente uno scandalo che dovrebbe sconvolgere la Turchia fino al cuore, ma il paese è così impegnato con le proprie cose da fare", ha scritto sul quotidiano online Al Monitor Orhan Kemal Cengiz, un avvocato per i diritti umani ed editorialista.
"Considerata la storia della Turchia, che è piena di pratiche inique nei confronti di chi non è musulmano, forse il significato di questo scandalo può essere meglio compreso grazie a un paragone. Per un attimo, provate a immaginare che gli ebrei tedeschi oggi fossero segretamente identificati dal governo tedesco con dei codici e che questo fosse scoperto. Ciò scatenerebbe un terremoto politico abbastanza grande da scuotere il sistema politico tedesco fino alle sue radici. Invece, in Turchia, lo scandalo è rimasto tale solo per pochi giorni nelle notizie pubblicate da qualche giornale.
Le leggi che escludevano gli ebrei e gli altri non musulmani da certe professioni
Anche all'inizio del 1923 e del 1924, le imprese straniere e le banche erano tenute ad assumere solo cittadini musulmani turchi e a licenziare chi non era non musulmano. Greci, ebrei ed armeni furono licenziati in massa senza essere pagati.
Il 24 gennaio 1924, "essere turchi" divenne il requisito fondamentale per lavorare come farmacisti in base a una nuova legge riguardante questa categoria professionale.[3]
Il 3 aprile 1924, in accordo alla legge professionale forense, fu valutata la moralità di 960 avvocati. Ne conseguì che i permessi di lavoro di 460 legali furono annullati. Così, il 57 per cento degli avvocati ebrei e tre su quattro dei legali greci e armeni persero il lavoro.[4]
Nell'art. 4 della legge del 1926 sui dipendenti pubblici, si affermava che solo "i turchi" potevano lavorare nelle istituzioni pubbliche. La legge comprendeva tutti i dipendenti degli enti pubblici, dai conducenti dei tram ai lavoratori portuali. A causa di questa legge, migliaia di non musulmani persero il lavoro.
Durante il 1928, furono emanate nuove leggi sui requisiti da possedere per svolgere certi tipi di lavori. Secondo queste leggi, solo i cittadini turchi potevano svolgere l'attività di medici, dentisti, ostetriche e infermieri e così via.
In queste leggi i "cittadini turchi" venivano definiti "di etnia turca". Pertanto, per svolgere questi lavori una persona doveva essere non solo musulmana ma di "etnia turca".
Il 22 aprile 1926, dopo che fu varata una legge che sanciva che il turco fosse la sola lingua da utilizzare nella corrispondenza commerciale, i non musulmani che lavoravano negli organi amministrativi e che non avevano la padronanza del turco scritto furono licenziati.
L'11 giugno 1932, il parlamento turco varò la legge #2007 che proibiva agli stranieri di svolgere molti lavori. La legge così recitava:[5]
I lavori e i servizi di seguito indicati possono essere svolti solo da cittadini turchi. Chi non è cittadino turco non può svolgere i seguenti lavori e servizi:
A) Il venditore ambulante; il musicista; il fotografo; il parrucchiere; il compositore; l'agente immobiliare; il fabbricante di abiti, cappelli e scarpe; l'operatore di borsa; il venditore di prodotti che sono sottoposti a monopolio di Stato; il traduttore; la guida. Non può lavorare nel settore edilizio, siderurgico o del legno; non può lavorare stabilmente o temporaneamente come conducente di veicoli pubblici; non può lavorare nel settore idrico, elettrico, nelle poste e telecomunicazioni. Non può occuparsi degli impianti di riscaldamento. Non può fare l'addetto al carico delle navi; l'autista e il camionista; l'assistente; il custode, il portiere o il capocameriere in tutti i tipi di aziende, alberghi e imprese. Non può lavorare negli alberghi, nei motel, nei bagni pubblici, nei bar. Non può fare il cameriere nei club, nelle sale da ballo o nei pub, né fare il ballerino/la ballerina oppure
B) Essere veterinario e farmacista.
Questa "legge sulle attività lavorative" fu la misura più drastica del governo kemalista dopo la proclamazione della nuova Repubblica nel 1923.
I divieti di assunzione furono anche un grosso ostacolo per i rifugiati esiliati dalla Germania. Essi cercavano di trovare un lavoro che non fosse stato bandito oppure di trovare delle scappatoie legali. Qualcuno di loro – in particolare le donne – ottenne dei permessi di soggiorno per contrarre matrimonio con cittadini turchi. Se le autorità turche avessero saputo che quei matrimoni erano "falsi", le donne avrebbero corso il rischio di essere deportate.[6]
"Cittadini, parlate turco!" Campagne e divieto di parlare il ladino e assimilazione forzata
Il 13 gennaio 1928, il sindacato studentesco della facoltà di Giurisprudenza dell'Università ottomana (l'Università di Istanbul odierna) lanciò una campagna per proibire l'uso in pubblico di tutte le lingue diverse dal turco.
Gli attivisti affissero dei manifesti in molte città di tutto il paese con lo slogan "Cittadini, parlate turco!" Su alcuni cartelli c'era scritto: "Non possiamo chiamare turco chi non parla la lingua turca" oppure "O parli turco o lasci il paese!" centinaia di persone furono vessate in pubblico, dovettero pagare multe o furono arrestate, con il pieno sostegno del governo.[7]
Isil Demirel, un antropologo turco, ha studiato il processo attraverso cui la lingua turca rimpiazzò il ladino come lingua madre degli ebrei sefarditi in Turchia.[8] "Negli anni Venti, gli ebrei furono esposti a forti pressioni durante i tentativi di diffondere la lingua turca", ha scritto Demirel. "Da quando gli ebrei cominciarono a usare il turco anziché il ladino, emersero delle differenze culturali tra la vecchia generazione, che usava il ladino come lingua madre, e la giovane generazione che parlava turco. Il ladino, che oggi in Turchia è una lingua che sta morendo, è usata solo dagli ebrei che hanno più di 50 anni, e incarna una cultura radicata e di lunga data".
Demirel ha parafrasato un ebreo sefardita che fu testimone della campagna all'insegna dello slogan "Cittadini, parlate turco!" che ha raccontato: "Se allora dicevi due parole in spagnolo (ladino), alzavano immediatamente le mani gridando: 'Ehiii, Signora, Signore, Cittadino, parla turco!' oppure tenevano dei bastoni dietro la schiena e li brandivano contro di te".
In un'altra campagna per l'assimilazione forzata, nel novembre 1932, a ogni ebreo della provincia di Izmir fu fatto firmare un accordo in cui egli prometteva "di abbracciare la cultura turca e di parlare la lingua turca". Poi fu la volta degli ebrei delle province di Bursa, Kiklareli, Edirne, Adana, Diyarbakir e Ankara. I quotidiani erano pieni notizie di ragazze ebree (e armene) che in gruppi si convertivano all'Islam.
I pogrom contro gli ebrei scoppiati nella Tracia orientale nel 1934
Nelle province di Tekirdag, Edirne, Kirklareli e Canakkale, dal 21 giugno al 4 luglio 1934, scoppiarono feroci pogrom, a causa di articoli scritti da autori pan-turchi come Cevat Rifat Atilhan e Nihal Atsiz. I pogrom iniziarono con un boicottaggio delle imprese ebraiche e furono seguiti da attacchi contro gli edifici di proprietà degli ebrei, che furono prima saccheggiati e poi dati alle fiamme. Gli ebrei furono picchiati, subirono delle aggressioni e alcune donne ebree furono violentate.
In una spirale di terrore, oltre 15.000 ebrei fuggirono dalla regione. Le pressioni antisemite sulle comunità ebraiche, le scuole, i mercati e le istituzioni statali, continuarono anche dopo i pogrom. Una circolare "confidenziale" fu inviata dalla sede centrale del Chp, al potere, alle sue sedi locali nella Tracia orientale per informare che il governo aveva tollerato i pogrom.
La Turchia durante l'Olocausto
Durante l'Olocausto, la Turchia aprì le porte a pochissimi ebrei e rifugiati politici. I tentativi di molte persone famose o delle organizzazioni ebraiche di far sì che la Repubblica turca accogliesse più profughi ebrei non sortirono alcun effetto. Per questo motivo la Turchia non è tra i paesi in cui fuggirono i profughi ebrei.[9]
Nel 1937, la Turchia prese delle misure per impedire l'immigrazione ebraica. Quando, nel 1938, il numero dei profughi ebrei aumentò rapidamente, la Repubblica turca promulgò due leggi che proibivano a chi non fosse in possesso di passaporto o di documenti che attestassero la cittadinanza di entrare e risiedere in Turchia. Queste leggi non erano apertamente collegate agli ebrei. Ma non prescindevano dal fatto che la Germania e altri paesi avevano privato gli ebrei dei loro diritti di cittadinanza. Il 29 agosto 1938, il governo turco diffuse una lettera politica per impedire agli "ebrei i cui diritti erano stati limitati nei loro paesi" di entrare in Turchia.[10]
Le tragedie dei profughi ebrei
Gli storici Corry Guttstadt e Rifat Bali hanno documentato le tragedie dei profughi ebrei che cercavano di sfuggire alla persecuzione nazista durante l'Olocausto e raggiungere Israele, la loro patria storica.[11]
L'8 agosto 1939, la nave Patria dovette fermarsi al largo della costa della provincia di Izmir, a causa di qualche problema durante il trasporto di 800 profughi ebrei provenienti dalla Germania, Polonia e dalla Cecoslovacchia e diretti in terra di Israele (allora sotto mandato britannico, chiamata Palestina). I profughi ebrei stettero per una settimana senza carbone, acqua e cibo. Alla nave fu vietato di attraccare al porto e il capitano alla fine fu costretto, dopo minacce da parte della polizia turca, a proseguire la navigazione.
Le riviste satiriche turche come Karikatür e Akbaba ridicolizzarono i profughi ebrei che cercavano invano rifugio in tutto il mondo. La caricatura sulla copertina di Akbaba del 24 agosto 1939 si riferiva ai profughi ebrei a bordo della Patria e la didascalia recitava: "Siamo affamati e senza soldi. Per l'amor di Dio, permetteteci di sbarcare per cinque minuti per arricchirci". Dopo che la nave aveva lasciato la costa di Izmir, il quotidiano Ulus scrisse: "Gli ebrei che erravano qui intorno se ne sono finalmente andati".
Il 6 dicembre 1940, una nave chiamata Salvador, in viaggio verso la terra di Israele e proveniente da Varna, in Bulgaria, arrivò a Istanbul con 327 ebrei cechi e bulgari a bordo. Il 12 dicembre, la Salvador fu costretta a restare in mare, nonostante il cattivo tempo, per poi affondare lo stesso giorno durante una forte tempesta al largo della costa di Silivri, nel Mar di Marmara. Di conseguenza, 204 persone annegarono, almeno 70 delle vittime erano bambini.
Il 15 dicembre 1941, la nave Struma, nel tentativo di salvare 769 ebrei rumeni dallo sterminio della Germania, aveva lasciato il porto di Costanza per condurli in terra di Israele e cercava di ormeggiare a Istanbul. Non solo la nave era in sovraccarico ma ebbe anche un'avaria a causa di un motore difettoso. Uno striscione con su scritto "Salvateci" fu fissato alla fiancata della nave. Per 70 giorni, durante i mesi invernali del 1941-1942, la Turchia non le permise di attraccare; chi era sulla nave dovette lottare contro le malattie e la morte, al largo della costa di Istanbul, nei pressi di Sarayburnu. Alla fine, l'ancora dell'imbarcazione fu tagliata e la nave fu trainata fuori dalle acque territoriali turche, nel Mar Nero.
Senza motore, carburante, cibo, acqua e medicinali, la Struma fu abbandonata al suo destino e lasciata in mare aperto. Il 24 febbraio 1942, essa fu silurata da un sottomarino sovietico alle 2 del mattino. Solo una persona è sopravvissuta. Dopo l'incidente, l'allora premier Reflik Saydam disse: "La Turchia non può diventare la patria di chi non è voluto da chiunque altro".
I "battaglioni di lavoro" dei non musulmani (1941-1942)
Il 22 aprile 1941, 12.000 non musulmani, tra cui uomini ebrei di età compresa tra i 27 e i 40 anni, furono inviati col caldo torrido come soldati nei campi di lavoro forzato, privi di infrastrutture e di approvvigionamento di acqua, che erano infestati da zanzare ed erano pieni di umidità e fango – tutte fonti di malaria. Questi soldati, conosciuti anche come "le 20 classi" non erano muniti di fucili. Erano costretti a indossare divise da netturbini e a lavorare incessantemente, e venivano insultati e scherniti come "soldati infedeli". Venivano reclutati anche i non vedenti e i disabili fisici. Erano costretti a lavorare in condizioni terribili e impiegati nella costruzione di gallerie come a Zonguldak e del Parco della Gioventù, a Ankara. Facevano dei lavori duri, come frantumare pietre e costruire strade nelle province di Afyon, Karabuk, Konya e Kutahya. I "battaglioni di lavoro" furono sciolti il 27 giugno 1942.[12]
"A causa delle cattive condizioni durante il servizio ci furono morti e feriti fra i coscritti", ha osservato il turcologo Ruben H. Melkonyan.
Il diffuso e prevalente punto di vista sulla questione era che, volendo partecipare alla Seconda guerra mondiale, la Turchia aveva raccolto in anticipo tutti gli uomini inaffidabili che non erano turchi, considerati come una potenziale "quinta colonna", ha scritto Melkonyan.
La legge della tassa sulla ricchezza (1942-1944)
L'11 novembre 1942, il governo, guidato dall'allora premier Sukru Saracoglu, promulgò una legge della tassa sulla ricchezza, con l'obiettivo di risolvere i problemi economici che erano emersi durante la Seconda guerra mondiale. L'87 per cento dei contribuenti non era però musulmano.
Il vero motivo che ispirò questa legge era eliminare i non musulmani dall'economia, come ha scritto Basak Ince, un assistente universitario di Scienze politiche.[13]
I contribuenti furono suddivisi in quattro gruppi distinti, a seconda della fede religiosa:
- la lettera M stava per musulmani;
- G per non musulmani;
- E per stranieri;
- D per convertiti.
L'ammontare delle imposte che dovevano pagare i commercianti armeni era del 232 per cento; 179 per cento spettava ai commercianti ebrei e 156 per cento a quelli greci. Ma solo il 4,94 per cento dei musulmani turchi doveva pagare la tassa sulla ricchezza. Pertanto, a esserne gravemente colpiti furono i non musulmani come gli ebrei, i greci, gli armeni e i levantini. Ma gli armeni furono quelli che vennero tassati più pesantemente.
Il ricercatore turco Ridvan Akar ritiene che la tassa sulla ricchezza sia stata un genocidio economico contro le minoranze.[14]
La legge fu anche imposta ai non musulmani indigenti, come gli autisti, gli operai e perfino i medicanti, mentre i loro omologhi musulmani non dovevano pagare nulla. I non musulmani dovevano pagare la tassa, in contanti, entro 15 giorni. Chi non era in grado di pagare era inviato ai lavori forzati, nell'Anatolia orientale.
"E quelli che non potevano pagare erano spediti in un campo ad Askale, nei pressi di Ezerum – una zona più fredda di quanto lo sia Mosca in inverno – dove venivano costretti a spaccare pietre", ha spiegato lo scrittore Sidney Nowill.[15]
La storica Corry Guttstadt nel suo libro Turkey, the Jews, and the Holocaust ha scritto che "Anche se la legge stabiliva che le persone al di sopra dei 55 anni erano esentate dal lavoro forzato, gli uomini di 75-80 anni e anche coloro che erano malati venivano trascinati alla stazione ferroviaria e deportati".
Queste imposte rovinarono la vita e le finanze di molte famiglie non musulmane; a Istanbul, fu registrato un certo numero di suicidi. "Qualcuno si suicidò per disperazione", ha scritto la Guttstadt.
Tra le persone che furono inviate nei campi di lavoro, 21 morirono lì; il governo turco confiscò i loro beni e li vendette ai musulmani turchi a prezzi bassi.[16] "La tassa sulla ricchezza fu soppressa nel marzo 1944, per effetto delle critiche mosse dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti", ha chiosato Basak Ince.
Omicidi e processi iniqui
Il 17 agosto 1927, Elza Niyego, un'ebrea ventiduenne, fu accoltellata a morte da Osman Ratip Bey, un uomo sposato di 42 anni, che le aveva fatto delle avances che la donna aveva respinto. Il cadavere della ragazza rimase a terra per tre ore in strada. Alla madre di Elza non fu permesso di coprire il corpo della figlia, un ordine che suscitò una forte reazione da parte della comunità ebraica. La gente che in massa partecipò al funerale il 18 agosto gridò: "Vogliamo giustizia!" Dopo la cerimonia funebre, cui parteciparono tra le 10 e le 25mila persone, il quotidiano Cumhuriyet (Repubblica) avviò un'intensa campagna antisemita. La stampa definì gli ebrei "ingrati" o "arroganti".
Alla fine del processo, l'omicida Osman Ratip Bey fu inviato in un manicomio, ma non in prigione. Nove ebrei e un testimone russo del delitto furono processati per "aver offeso l'identità turca" e quattro di essi finirono in carcere. E ancora una volta, agli ebrei fu negata la libertà di movimento in Anatolia.
Il 30 gennaio 1947, tutti i membri di una famiglia ebrea di sette persone furono trovati morti a Kendirli, nella provincia di Urfa. La comunità ebraica di Urfa fu ritenuta responsabile della loro morte, e tutti gli uomini ebrei della città furono arrestati. Durante il processo, gli abitanti di Urfa boicottarono gli ebrei. Gli arrestati furono rilasciati dopo tre anni, ma gli ebrei di Urfa dovettero andarsene.
Gli ebrei nella Turchia odierna
In Turchia, gli ebrei, anche sotto i governi kemalisti e non islamici, per decenni sono stati esposti a gravi e sistematiche discriminazioni. Oggi, sotto un governo islamista, essi si sentono insicuri e ancora minacciati. Molti appartenenti alla comunità ebraica turca stanno lasciando il paese o hanno intenzione di farlo, come ha scritto un importante uomo d'affari della comunità in un articolo pubblicato nel dicembre 2014 su Salom, un quotidiano ebraico di Istanbul. Mois Gabay, un professionista del settore del turismo, riferendosi all'omicidio del giornalista turco di origine armena Hrant Dink, avvenuto nel 2007, ha scritto: "Ogni giorno affrontiamo minacce, aggressioni e vessazioni. La speranza sta svanendo. È necessario che anche noi dobbiamo avere un Hrant perché il governo, l'opposizione, la società civile, i nostri vicini e i giuristi se ne rendano conto?"
Gabay ha aggiunto che un crescente numero di ebrei turchi sta pensando di trasferirsi all'estero con le proprie famiglie: "Circa il 37 per cento dei diplomati della comunità ebraica in Turchia preferisce recarsi all'estero per continuare gli studi (…) Questo numero quest'anno è raddoppiato rispetto agli anni precedenti".
Non solo gli studenti hanno cominciato a pensare di costruirsi una vita all'estero, scrive Gabay, ma anche i giovani imprenditori: "La settimana scorsa, mentre parlavo con due miei amici, in diverse occasioni, la conversazione è caduta sulla scelta di un nuovo paese dove trasferirci. Con questo voglio dire che anche la mia generazione pensa di lasciare questo paese".
Quando l'antisemitismo si trasforma in antisionismo
Se ci fosse stato uno Stato ebraico durante tutte queste persecuzioni, gli ebrei se ne sarebbero andati lì nel momento del bisogno.
Se fosse esistito uno Stato del genere prima dell'Olocausto, gli ebrei europei avrebbero potuto cercare rifugio. Se avessero avuto un esercito, si sarebbero potuti difendere dai nazisti.
Dopo tutte queste persecuzioni e discriminazioni contro gli ebrei, la tradizione antisemita della Turchia ancora persevera. Nel 2005, Mein Kampf di Adolf Hitler fu un best seller in Turchia, dopo che venne pubblicato da 13 case editrici.
Le case degli ebrei che vengono costruite in Israele non sono un ostacolo alla pace. L'unico ostacolo alla pace è l'odio dei paesi vicini di Israele.
Uzay Bulut, musulmana di nascita, è una giornalista turca che vive ad Ankara.
[1] Vedi Hur, Ayse, 8 February 2009, "Isolated (!) Incidents of Anti-Semitism", Taraf Newspaper.
Bali, Rifat (1999). Turkish Jews in the Republican Years - An Adventure of Turkification (1923-1945). Iletisim Publishing House.
Bali, Rifat (2001). The Children of Moses, The Citizens of the Republic. Iletisim.
Bali, Rifat (2004). The Jews of the State and the "Other" Jew. Iletisim.
[2] Ibidem.
[3] Hur, Ayse, 22 January 2012, "The 'minority report' of the Republic". Taraf Newspaper.
[4] Ibidem.
[5] Yabancılara Çalışma Yasağı.
[6] Ibidem.
[7] Bali, Rifat (1999). Turkish Jews in the Republican Years - An Adventure of Turkification (1923-1945). Iletisim Publishing House. Ince, Basak (2012). Citizenship and Identity in Turkey: From Atatürk's Republic to the Present Day. I. B. Tauris.
[8] Demirel, Isil (2011). "Ladino: Turkey is Forgetting a Language". Atlas Magazine.
[10] Ibidem.
[11] Guttstadt, Corry (2013). Turkey, the Jews, and the Holocaust. Cambridge University Press. Bali, Rifat (2004). The Jews of the State and the "Other" Jew. Iletisim.
[12] Bali, Rifat (2008). The Twenty Classes: The Episode of Military Service of Non-Muslims during the Second World War. Kitabevi Publishing House.
[13] Ince, Basak (2012). Citizenship and Identity in Turkey: From Atatürk's Republic to the Present Day. I. B. Tauris.
[14] "Report: The law that coveted the 'wealth' of minorities", by Zeynep Ozakat, Milliyet newspaper, 15/12/2009.
[15] Nowill, Sidney E. P. (2011). Constantinople and Istanbul: 72 Years of Life in Turkey. Matador.
[16] Ince, Basak (2012). Citizenship and Identity in Turkey: From Atatürk's Republic to the Present Day. I. B. Tauris.