Charlie Hebdo lo ha coraggiosamente fatto di nuovo: ha pubblicato le vignette su Maometto. Coloro che hanno proclamato: "Je suis Charlie Hebdo" adesso staranno al loro fianco? Nella foto: Stéphane Charbonnier, che era l'editore di Charlie Hebdo fino a quando non venne ucciso nell'attacco terroristico del 2015 contro la sede parigina della rivista, all'esterno della redazione del giornale, subito dopo l'attentato dinamitardo del 2 novembre 2011. |
L'1 settembre, alla vigilia dell'apertura del processo che vedrà in aula 14 persone accusate di coinvolgimento in una serie di attacchi terroristici in Francia, tra cui la strage dei giornalisti e vignettisti, perpetrata il 7 gennaio 2015, nella redazione di Parigi di Charlie Hebdo, la rivista satirica francese ripubblica le vignette su Maometto sotto il titolo "Tout ça pour ça" (Tanto rumore per nulla). "Non ci arrenderemo mai", hanno dichiarato.
Gli imputati, alcuni dei quali saranno processati in contumacia, "devono affrontare una serie di accuse relative all'aiuto fornito agli autori degli attacchi che portarono alla morte 17 persone in tre giorni nel gennaio 2015". Oltre alle 12 vittime freddate all'interno e attorno alla redazione di Charlie Hebdo, un agente di polizia è stato assassinato per strada e quattro persone sono state uccise in un supermercato kosher.
François Molins, allora procuratore di Parigi, ha ricordato il suo arrivo nella redazione di Charlie Hebdo, affermando di aver trovato "l'odore del sangue e della polvere da sparo. Una carneficina. Più che una scena del crimine, una di guerra, uno spaventoso groviglio di corpi".
Il direttore di Charlie, "Riss", ha circostanziato la stretta sorveglianza che circonda il settimanale dopo l'attacco terroristico. Charlie Hebdo sta finanziando parte della propria protezione, spendendo 1,5 milioni di euro all'anno. "Quando si spendono tre euro per acquistare una copia di Charlie Hebdo, 1,30 euro va al distributore ed è con il restante 1,70 euro che il giornale paga i dipendenti, l'affitto, i fornitori di servizi, così come la propria sicurezza", ha dichiarato "Riss". Dopo aver pagato un prezzo ancora più alto nel 2015 in termini di sangue, e pagato un esorbitante prezzo in termini di sicurezza, sarebbe stato comprensibile se i direttori di Charlie avessero smesso di usare la loro libertà di espressione per sottoporre l'Islam a critiche. Non è quello che hanno scelto di fare.
"Ci è stato spesso chiesto di pubblicare altre vignette di Maometto", scrivono.
"Ci siamo sempre rifiutati di farlo, non perché sia proibito, la legge ce lo permette, ma perché ci serviva un buon motivo per farlo, un motivo che avesse senso e che portasse qualcosa al dibattito".
L'ultima vignetta di Maometto pubblicata dal settimanale era apparsa cinque anni fa sulla copertina del numero successivo alla strage e che aveva venduto otto milioni di copie. Mostrava il Profeta dell'Islam accompagnata dal titolo "Tutto è perdonato".
"Dobbiamo continuare a ritrarre Maometto: non farlo significa che non c'è più Charlie", ha detto Patrick Pelloux, un vignettista che da allora ha lasciato la rivista. Ma Charlie è ancora Charlie? Molti si sono chiesti dopo la strage. Oggi lo è, ma la Francia sta iniziando a riflettere sulla drammatica deriva della sua libertà di espressione.
Philippe Lançon, gravemente ferito nell'attacco del 2015 sferrato dai fratelli Kouachi, era ancora convalescente quando partecipò a una festa, dove incontrò lo scrittore Michel Houellebecq. I due ebbero una breve conversazione; Houellebecq concluse il loro colloquio parafrasando un versetto del Vangelo secondo Matteo: "... i violenti se ne impadroniscono con la forza".
"Charlie Hebdo, libertà o morte", ha di recente titolato Le Figaro. A prima vista, si, la battaglia è persa, spiega il quotidiano francese. L'Islam politico, di pari passo con la sinistra culturale, "avanza sotto la maschera dei diritti umani e della lotta contro la discriminazione". Buona parte della stampa francese accoglie il processo su Charlie Hebdo con una sensazione di ripiegamento e di resa. "Il mio sfortunato cliente sarà la libertà e temo che nel medio termine sia una causa persa", ha detto al settimanale Point l'avvocato di Charlie Hebdo, Richard Malka.
"I fratelli Kouachi e quelli che li hanno armati hanno vinto, sì... Chi pubblicherebbe oggi le caricature di Maometto? Quale giornale? In che pièce teatrale, in che film, in che libro si osa criticare l'Islam?"
Negli ultimi mesi "sono stati sventati diversi attentati", ha detto Jean-François Ricard, procuratore antiterrorismo francese. La Francia è sotto una grave minaccia jihadista. L'ex ministro dell'Interno Bernard Cazeneuve ha dichiarato al Parisien che "la violenza ha messo radici nel cuore della società", il Paese corre il rischio di "una conflagrazione" e definisce il comunitarismo (un sistema di piccole comunità autonome) "un veleno lento e fatale". Il giornalista Etienne Gernelle ha scritto su Le Point:
"Charlie Hebdo vive ancora minacciato di morte; ciò che rappresenta, la libertà, è agli arresti domiciliari; la Francia è paralizzata non appena compare la parola 'Islam' e il mondo politico e i media hanno celebrato Charlie e poi preso le distanze".
L'ex giornalista di Charlie Hebdo Zineb El Rhazoui, autrice del libro Détruire le Fascisme Islamique (Distruggere il fascismo islamico), regolarmente minacciata di morte, punta il dito contro chi accusa la rivista di islamofobia: "Ricordo tutti coloro che hanno contribuito all'isolamento e alla discesa di Charlie agli inferi", ha affermato la Rhazoui.
"Hanno una responsabilità morale per il destino riservato a Charlie. È normale che cinque anni dopo questo orribile crimine, questa orribile battuta d'arresto per la libertà di espressione e per la cultura francese, ci sia ancora un 'collettivo contro l'islamofobia' in Francia? È normale che cinque anni dopo questo attacco devo continuare a camminare con uomini armati nel cuore di Parigi?".
Il settimanale Marianne si è chiesto: "I fratelli Kouachi possono vantare una vittoria postuma? Si". Cinque anni e cinque atti di capitolazione, scrivono.
Primo atto: I giornalisti di Charlie Hebdo erano stati appena assassinati quando la scrittrice Virginie Despentes scrive su Les Inrockuptibles riguardo ai terroristi: "Li ho amati nella loro goffaggine quando li ho visti con le armi in mano seminare il terrore gridando 'abbiamo vendicato il Profeta'". Non una parola sulla sorte dei vignettisti, giornalisti e impiegati di Charlie assassinati per aver ironizzato sull'Islam, o sulle persone uccise nel supermercato kosher.
Secondo atto: Il 17 novembre 2015, quattro giorni dopo gli attacchi al Bataclan, il giornalista francese Antoine Leiris che ha perso la moglie all'interno della sala concerti scrive: "Non avrete il mio odio". Diventerà, spiega Marianne, lo "slogan informale nei circoli progressisti. La fede di Leiris ha impedito non solo l'indignazione, ma anche una lucida analisi della situazione".
Terzo atto: Il direttore di Mediapart, Edwy Plenel, sei giorni dopo la strage tiene un incontro nella periferia di Parigi con l'eminente islamista Tariq Ramadan. Plenel ha accusato Charlie Hebdo di aver mosso "guerra ai musulmani".
Quarto atto: Nel 2019, a Parigi, a una "marcia contro l'islamofobia" hanno partecipato 13.500 persone. Lo slogan che esce dalla cerchia delle associazioni religiose salafite è stato adottato dalla "quasi totalità dei leader politici di sinistra", secondo Marianne. Durante la marcia, gli attivisti urlavano "Allahu Akbar", lo stesso grido usato dai terroristi autori dell'attacco a Charlie Hebdo.
Quinto atto: "Possiamo criticare l'Islam senza temere per la propria sicurezza?", si chiede Marianne. Nel gennaio 2020, una ragazza di 16 anni, Mila, risponde a insulti omofobi (è stata definita una "sporca lesbica") sul suo account Instagram criticando l'Islam. Mila, minacciata di morte, ha lasciato la scuola e vive sotto protezione della polizia. "Da parte dei partiti politici di Sinistra, delle organizzazioni femministe e delle associazioni Lgbt, c'è il silenzio radio: quando gli aggressori sono musulmani la parola d'ordine è ovviamente chiudere gli occhi e coprirsi le orecchie".
Le democrazie occidentali hanno pagato a caro prezzo il diritto alla libertà di espressione che, se non sarà protetta ed esercitata, può scomparire dall'oggi al domani.
L'autocensura preventiva e una "ritirata strategica" di fronte alla furia islamista sembrano solo una regressione epica. Con lo "spirito di Charlie" che arretra in Francia e la "cancel culture" che avanza negli Stati Uniti, in tribunale sembra esserci finita la libertà di espressione piuttosto che i suoi assassini e i loro utili idioti. A gennaio, nel quinto anniversario della strage nella sede di Charlie Hebdo, il saggista Pascal Bruckner ha dichiarato:
"Ho l'impressione che le nostre difese immunitarie siano crollate e che l'islamismo stia vincendo. Le sue principali rivendicazioni sono state soddisfatte: più nessuno osa pubblicare caricature di Maometto".
Charlie Hebdo lo ha coraggiosamente fatto di nuovo: ha pubblicato le vignette su Maometto. È ancora l'ultima e sola rivista europea ad essere pronta a difendere la libertà di espressione. Una filosofa francese, Elisabeth Badinter, nel documentario "Je suis Charlie", ha affermato: "Se i nostri colleghi nel dibattito pubblico non condividono parte del rischio, allora hanno vinto i barbari". Coloro che hanno proclamato: "Je suis Charlie Hebdo" adesso staranno al loro fianco?
Giulio Meotti, redattore culturale del quotidiano Il Foglio, è un giornalista e scrittore italiano.