Il presidente cinese Xi Jinping ritiene che ci sia già troppa influenza straniera nella società cinese, il che significa che vorrebbe limitare il più possibile la proprietà offshore delle imprese cinesi. Gli investitori stranieri spesso dimenticano che il governante cinese è ostinato e farà ciò che vuole. Xi Jinping intensificherà una campagna di lunga data per vessare le imprese straniere e iniziare a costringere gli investitori offshore a lasciare il suo Paese. Nella foto: Xi (al centro) alla parata militare per il 70° anniversario della fondazione della Repubblica Popolare Cinese, il 1° ottobre 2019, a Pechino. (Foto di Andrea Verdelli/Getty Images) |
"Cosa devono capire gli investitori, mi riferisco a quelli che stanno pensando che forse voglio lanciarmi nell'investimento in società cinesi?" ha chiesto Maria Bartiromo il 14 luglio, durante il suo programma Fox Business, "Mornings with Maria".
La risposta è che Pechino è in procinto di espropriare le quote detenute dagli stranieri nelle società tecnologiche cinesi. Le complicate strutture finanziarie utilizzate da queste società per attirare investimenti stranieri sono discutibili secondo la legge cinese e danno ora a Xi Jinping, il governante cinese, una scusa per avviare una campagna di confisca.
Tutto è cominciato con gli straordinari attacchi normativi di Pechino contro DiDi Global. Il 30 giugno, Le azioni della società hanno iniziato a essere vendute sul Big Board, dove sono stati raccolti 4,4 miliardi di dollari in un'offerta pubblica iniziale. Due giorni dopo, la Cyberspace Administration cinese ha bloccato i download della popolare app di ride-hailing di DiDi Global, DiDi Chuxing.
In seguito, le autorità di regolamentazione hanno avviato un'indagine dopo l'altra, mettendo a dura prova il settore. Ad esempio, il 16 luglio l'Amministrazione cinese del cyberspazio e altre sei agenzie governative cinesi: il ministero della Pubblica Sicurezza, il ministero della Sicurezza dello Stato, il ministero delle Risorse Naturali, il ministero dei Trasporti, l'Amministrazione statale delle Imposte e l'Amministrazione statale per la Regolamentazione del Mercato – hanno avviato "un'ispezione in loco della cybersicurezza" di DiDi Chuxing.
Ma perché prendere di mira DiDi? Per prima cosa, si tratta di una "entità a interesse variabile" (VIE), che le aziende high-tech hanno utilizzato per reperire capitali nei mercati valutari. Le VIE, come vengono chiamate, eludono la legge cinese, che vieta ai capitali stranieri di assumere il controllo delle aziende tecnologiche cinesi. Tuttavia, attraverso una serie di complessi accordi contrattuali, queste strutture offrono effettivamente agli stranieri i benefici economici della proprietà.
Il divieto agli stranieri di detenere una parte o l'intero capitale di un'azienda cinese di alta tecnologia spiega il motivo per cui detti investitori si sono tenuti lontani da una delle offerte pubbliche più attese della storia finanziaria cinese, la quotazione di Alibaba. Al contrario, nel 2014, gli investitori stranieri hanno acquistato azioni di Alibaba Group Holding Limited, società con sede nelle Isole Cayman. Alibaba Group Holding Limited supera una complessa struttura VIE.
La VIE di Alibaba era discutibile. La Suprema Corte del Popolo Cinese, il più alto tribunale della Repubblica Popolare, nel 2012 ha dichiarato illegali ai sensi del diritto contrattuale cinese gli accordi contrattuali in esame nel caso Chinachem, simili in effetti alle strutture VIE. Chinachem, un'azienda di Hong Kong, ha investito indirettamente nella China Minsheng Banking Corp.. Dopo che il valore delle azioni di Minsheng è salito alle stelle – la quota di proprietà di Chinachem è aumentata di quasi 64 volte – le autorità cinesi hanno escluso Chinachem, confiscando i suoi interessi nella banca.
La decisione di Chinachem ha mostrato che schemi complessi non saranno tollerato se eludono il chiaro intento della legge cinese. Essendo la Cina una giurisdizione di diritto civile, questa decisione non costituisce tecnicamente un precedente, ma il ragionamento della corte è solido e coerente con la giurisprudenza di altri Paesi. Non a caso, le decisioni arbitrali di Shanghai sulle strutture VIE sono giunte allo stesso risultato.
Gli azionisti di Minsheng non sono gli unici attori subdoli. Jack Ma, co-fondatore di Alibaba e un tempo suo dirigente, aveva offerto una struttura VIE per convincere Yahoo! ad acquisire una significativa posizione di minoranza in Alibaba nel 2005. In una transazione in due fasi nel 2009 e nel 2010, Ma ha trasferito Alipay, l'allora piattaforma di pagamento online di Alibaba, a un'entità in cui deteneva una partecipazione sostanziale, senza però informare Yahoo!
Quando Yahoo! ha appreso dei trasferimenti occulti, Ma ha detto che la People's Bank of China, la Banca Centrale Cinese, gli aveva chiesto di effettuarli per ottenere una licenza. Ma, quindi, ha sostenuto che Alipay non poteva gestire la propria attività a causa dell'accordo VIE che aveva strutturato.
Inoltre, i funzionari cinesi hanno dichiarato illegali le VIE in altri settori. L'Amministrazione Generale della Stampa e delle Pubblicazioni, ad esempio, nel primo decennio di questo secolo, le ha addirittura vietate in un settore in cui erano già state utilizzate in offerte estere.
C'è anche il caso di China Unicom. A metà degli anni Novanta, il governo centrale cinese ha consentito alle aziende straniere di acquistare azioni in quell'attività di telecomunicazioni grazie alla struttura Cina-Cina-Estero, che, come le VIE, ha eluso le inequivocabili regole cinesi contro gli investimenti offshore. Pechino in seguito ha forzato lo scioglimento di tale accordo, svantaggiando gli investitori stranieri di Unicom.
Nonostante tutte queste vicissitudini legali, il governo cinese incoraggia le VIE e le offerte nei mercati offshore? "Quasi tutte le aziende cinesi sono quotate negli Stati Uniti attraverso una struttura VIE; è a una VIE che i fondi pensione e i fondi di investimento affidano il loro denaro", ha dichiarato al Wall Street Journal Winston Ma della New York University e autore di The Digital War.
L'argomento in effetti è stato abbastanza appetibile per gli investitori stranieri, come dimostra una serie di offerte recenti, tra cui quella di DiDi Global. Gli stranieri cercano disperatamente di entrare nel settore tecnologico cinese e sono sprezzanti nei confronti delle leggi di quel Paese.
L'atmosfera a Pechino, però, sta cambiando. "I precedenti leader cinesi lo consideravano un modo per le aziende cinesi di ottenere prestigio internazionale, ma l'attuale leadership ha sempre più disapprovato il modello a causa dei crescenti timori che informazioni sensibili cadano in mani straniere", ha riportato il Wall Street Journal, riferendosi alla struttura VIE.
Pertanto, non dovrebbe sorprendere che l'Amministrazione Statale Cinese per il Cyberspazio stia ora passando al vaglio le aziende dotate di VIE e le autorità di regolamentazione cinesi hanno di recente preso di mira aziende – e a quanto pare esclusivamente esse – dotate di queste strutture discutibili. LinkDoc, un'azienda cinese, ha appena scartato la possibilità di entrare in borsa strutturata intorno a una VIE.
Al momento, le autorità regolamentari cinesi stanno pensando di richiedere l'approvazione anticipata degli accordi VIE, e non il loro annullamento.
Il prossimo passo sarà proprio lo scioglimento delle VIE esistenti? Il Partito Comunista ha suscitato la rabbia contro gli stranieri, già ribollente nella società cinese. I funzionari, quindi, stanno riconsiderando gli accordi VIE, soprattutto perché Pechino vuole mantenere in patria i profitti generati nel mercato cinese.
La gente crede che se Pechino dichiarasse pubblicamente illegale una VIE – in altre parole, se una decisione politica espropriasse la proprietà straniera – sarebbe come far esplodere un'arma nucleare, escludendo le nuove società cinesi dai mercati azionari esteri. Pertanto, le persone credono che non possa accadere. La cancellazione all'ultimo minuto dell'IPO di Ant Group a Hong Kong e a Shanghai, lo scorso novembre, tuttavia, mostra che Xi Jinping è disposto a fare di tutto per proteggere il suo sistema.
Molti dimenticano che il comunismo cinese è intrinsecamente ostile al settore privato in generale e agli stranieri in particolare. La cosiddetta "era delle riforme" – i tre decenni successivi al 1978, quando i leader cinesi hanno liberalizzato l'economia e il sistema finanziario cinesi e l'hanno aperti al mondo – è ormai finita, e questo periodo di speranza comincia a sembrare un'aberrazione nella storia del comunismo cinese.
"C'era un'attenzione alla possibilità di lavorare con il mercato o un'intenzione a farlo", ha detto Fraser Howie a John Batchelor di CBS Eye, il 12 luglio scorso. "Con le restrizioni esistenti, ovviamente, quello cinese non è mai stato un mercato aperto e libero, ma Xi Jinping ha semplicemente cambiato le regole del gioco e non siamo più nell'era delle riforme. Ora è molto più concentrato sulla sicurezza, sull'ideologia, sulla disciplina del Partito".
Come Howie, coautore di Red Capitalism: The Fragile Financial Foundation of China's Extraordinary Rise, ha affermato: "Il messaggio del Partito è il seguente: sappiamo meglio che questo è ciò che conta per noi, e andremo avanti indipendentemente da quali sono le perdite".
Xi Jinping ritiene che ci sia già troppa influenza straniera nella società cinese, il che significa che vorrebbe limitare il più possibile la proprietà offshore delle imprese cinesi. Penso che intensificherà una campagna di lunga data per vessare le imprese straniere e iniziare a costringere gli investitori offshore a lasciare il suo Paese. La discutibile struttura VIE offre a Xi la scusa perfetta per espropriare ora la proprietà straniera delle attività tecnologiche di successo del suo Paese.
Gli investitori stranieri spesso dimenticano che il governante cinese è ostinato e farà ciò che vuole. "Ciò che dice Xi Jinping, Xi Jinping lo fa", ha precisato correttamente Bartiromo. "E questa è l'esclusiva definizione della legge".
Gordon G. Chang è l'autore di "The Coming Collapse of China", è Distinguished Senior Fellow presso il Gatestone Institute e membro del suo comitato consultivo.