Dopo le aggressioni di massa a sfondo sessuale della notte di Capodanno avvenute nelle città europee di Colonia, Amburgo, Düsseldorf, Bielefeld, Berlino, Francoforte, Stoccarda, Vienna, Salisburgo, Zurigo, Helsinki e Kalmar, è chiaro che qualcosa di profondamente inquietante si sia verificato in Europa. Fino a domenica scorsa, solo a Colonia, 516 donne hanno sporto denuncia e circa il 40 per cento di loro ha raccontato di aver subito aggressioni sessuali.
Le reazioni iniziali delle autorità tedesche, dei media, delle femministe e di altri non sono state meno inquietanti.
In una nota stampa surreale diffusa la mattina dell'1 gennaio, la polizia tedesca ha dapprima dichiarato che la situazione della notte precedente era "tranquilla". Poi, il capo della polizia di Colonia Wolfgang Albers ha ammesso che "questa dichiarazione iniziale era inopportuna" e poiché il suo comportamento è stato visto come un tentativo di insabbiamento, il funzionario è stato costretto al pensionamento anticipato.
Tra i principali media del paese, l'emittente televisiva pubblica tedesca ZDF ha deciso di non dare notizia delle violenze di Capodanno fino a quattro giorni dopo quanto accaduto.
Un ex funzionario di governo, Hans-Peter Friedrich, ministro degli Interni dal 2011 al 2013 nel governo guidato dalla cancelliera Angela Merkel, ha accusato i media di aver imposto un "blackout", osservando una sorta di "codice del silenzio" sulle negative notizie riguardanti gli immigrati: "È vergognoso che i media ne abbiano parlato dopo giorni", ha detto Friedrich.
"Esperti", femministe e progressisti hanno cercato di minimizzare le aggressioni giustificandole a oltranza.
Uno di questi "esperti", il criminologo tedesco Christian Pfeiffer , ha descritto gli aggressori come "in gran parte giovani, scapoli, che sono arrivati in questo paese e non sanno cosa ne sarà di loro (...) La procedura per il riconoscimento dello status di rifugiati richiede molto tempo e questo alimenta in loro solo frustrazione e rabbia". Il criminologo, molto rispettato in Germania, ha così concluso: "Questo è un segnale di allarme che sta a indicare che dobbiamo fare di più". A suo dire, gli immigrati commettono i crimini, ma la colpa è dei tedeschi perché "devono fare di più".
In Europa, molte femministe hanno affermato che è stata rivolta troppa attenzione alla questione dell'appartenenza "etnica" dei criminali, tanto da farle gridare al "razzismo", trascurando il fatto che l'Islam non è un'appartenenza etnica, ma una religione. Questa argomentazione è stata sostenuta dalle femministe di paesi come la Svezia e la Danimarca.
Anche sui social media si sono moltiplicate le giustificazioni nei confronti di uomini che si erano riuniti con l'unico scopo di aggredire e molestare sessualmente le donne presenti in una pubblica piazza. E poi si scopre che questo passatempo – lo stupro di gruppo – proviene dal mondo arabo-musulmano e ha un nome specifico: " Taharrush".
Com'è possibile che la paura di essere accusati di "razzismo" sia più importante del dovere di dire a gran voce che le aggressioni sono state stupri di gruppo?
È già successo in passato. Per decenni, le autorità nazionali europee, i media e i progressisti hanno ignorato, "relativizzato" o tentato di giustificare qualunque spiacevole fatto legato all'immigrazione di massa musulmana in Europa.
I diffusi abusi sessuali su 1400 bambini commessi da uomini musulmani, principalmente di origine pakistana, a Rotherham, in Inghilterra, e durati più di un decennio (tra il 1999 e il 2013), erano noti alle autorità locali britanniche, che hanno consentito il loro prosieguo.
A Parigi, Tolosa e Copenaghen, gli ebrei sono stati uccisi da musulmani, per il solo fatto di essere ebrei.
In seno alle moschee europee, gli imam sono liberi di predicare e istigare all'odio contro gli ebrei. Gli imam definiscono gli ebrei discendenti di "scimmie e maiali".
Il terrorista che lo scorso anno uccise a Copenaghen una giovane guardia di sicurezza di fede ebraica in una sinagoga era stato esposto esattamente a un'istigazione del genere in una moschea della capitale danese il giorno prima dell'omicidio.
La stagione della caccia all'ebreo si è oramai riaperta anche in Francia, tanto che 15,000 ebrei hanno lasciato il paese negli ultimi due anni. Già nel 2014, il 75 per cento degli ebrei francesi aveva preso in considerazione l'idea di abbandonare il paese.
Nel 2006, un giovane ebreo francese, Ilan Halimi, fu tenuto prigioniero e torturato per 24 giorni da una banda di musulmani che poi lo gettarono, nudo e ammanettato, in un campo. In Europa, questo episodio passò quasi inosservato.
Come ha scritto la rivista The Atlantic nell'aprile 2015: "In Francia, 475.000 ebrei rappresentano meno dell'1 per cento della popolazione del paese. Ma l'anno scorso, secondo il ministro degli Interni francese, il 51 per cento di tutti gli attacchi razzisti ha preso di mira gli ebrei".
Le statistiche di altri paesi sono simili. Tra il 2014 e il 2015, in Europa, gli ebrei sono stati uccisi, violentati, picchiati e perseguitati, per il solo fatto di essere ebrei. "Sporco ebreo", "Morte agli ebrei" o "Ebrei ai forni" sono frasi apparse sui muri.
Nessuno di questi effetti collaterali causati dall'immigrazione musulmana sembra importare ai progressisti, ai media o ai presunti difensori dei diritti umani – che affermano ad alta voce di essere contrari al "razzismo". Oppure, ancora una volta in Europa il "razzismo" non riguarda gli ebrei?
In Svezia, sono state compiute "diffuse aggressioni sessuali" da parte di una novantina di giovani, soprattutto provenienti dall'Afghanistan e dalla Siria, durante un concerto tenutosi a Stoccolma lo scorso agosto. Dagens Nyheter, il maggiore quotidiano svedese, una volta informato dei paesi di provenienza dei criminali non ha voluto pubblicare la notizia.
Solo dopo gli attacchi di Colonia – cinque mesi più tardi – il giornale svedese ha mostrato interesse per quanto accaduto a Stoccolma la scorsa estate.
In Norvegia, le prime statistiche sugli stupri sono state rese pubbliche nel 2001: i casi di violenze sessuali sono aumentati del 40 per cento dal 1999 al 2000; e il 65 per cento di tutti gli stupri è stato commesso da immigrati non occidentali (per lo più musulmani). All'epoca, l'antropologa norvegese Unni Wikan, considerata un'autorità nel paese in fatto di musulmani, incolpò le donne norvegesi degli stupri, con l'accusa di "provocare" le violenze sessuali comportandosi da "donne norvegesi", invece di "elaborare interiormente che viviamo in una società multiculturale e adattarsi a questa situazione. (...) Nella maggior parte dei paesi musulmani, si presume che la donna sia colpevole dello stupro subito, ed è normale che gli immigrati musulmani la pensino così quando si trasferiscono in Norvegia".
I progressisti ammettono apertamente di non volere parlare di ciò che vedono. "Non dobbiamo quindi meravigliarci se i progressisti farebbero di tutto per evitare di fomentare il razzismo, poiché noi vediamo in tutta questa giusta indignazione un vecchio cliché palesemente razzista sui barbari alle porte. Ci facciamo in quattro per segnalarlo in modo responsabile, per contenere la rabbia sbavante", ha detto un sedicente progressista britannico in merito alla sua riluttanza a parlare delle aggressioni di Colonia.
Ma poi si scopre che il tentativo di evitare di "fomentare il razzismo" non è poi così vero. Molti progressisti sembrano non avere problemi a farlo fino a quando le vittime dell'odio razziale non sono i musulmani. In cima al loro odio si trovano gli ebrei israeliani. Molti media sembrano non avere problemi ad offrire un'informazione distorta e selettiva dei fatti che accadono, soprattutto in Medio Oriente. I media europei hanno praticamente ignorato l'attuale ondata di pressoché quotidiani accoltellamenti, sparatorie, attacchi con autovetture e lanci di pietre, per non parlare poi dei lanci di razzi contro Israele dalla Striscia di Gaza. Questi attacchi sono destinati a mietere vittime tra civili innocenti e sono istigati dall'Autorità palestinese guidata da Mahmoud Abbas.
Il desiderio di molti europei e di altri sedicenti paladini dei "diritti umani" di insabbiare, minimizzare o giustificare quello che sta accadendo in Europa rappresenta in realtà l'esatto opposto di ciò di cui le persone realmente interessate ai diritti umani dovrebbero occuparsi: il rispetto per gli altri e l'uguaglianza dinanzi alla legge.
Quando una società costruita sul principio di legalità comincia a coprire i comportamenti delinquenziali e a sollevare i criminali da ogni responsabilità, beh, essa è destinata a indebolirsi e a corrodere gli stessi valori che sostiene di voler difendere.
Giustificare un simile comportamento criminale non è solo ingiusto, ma è anche una sorta di "razzismo alla rovescia" contro gli stessi autoctoni europei.
Come risulta, l'ethos progressista sembra essere tutt'altro. In realtà, si rivela totalitario nel suo desiderio di adattare a tutti i costi la realtà alle proprie fantasie, ai propri fini e "narrazioni". La verità oggettiva è trattata come un bene "usa e getta".
L'Europa ha dato liberamente il via al processo volto a rinunciare alle sue libertà liberali e per le quali ha duramente lottato. La libertà di parola non esiste più. Esiste solo "se "responsabile": "libera" nella misura in cui non "offende" nessuno. Questa però non è la libertà di parola: non la si può definire tale se un discorso viene censurato. Un discorso che non offende nessuno, non ha certo bisogno di essere protetto.
La libertà religiosa non esiste più. Gli ebrei non possono più indossare apertamente i simboli della loro religione senza rischiare di essere aggrediti e possono riunirsi a pregare solo sotto stretta sorveglianza. Ora verrà meno anche la libertà di uscire da sole per le ragazze e le donne? E poi, chi sarà il prossimo?