Il 13 ottobre, il Parlamento britannico discuterà se riconoscere o meno uno Stato palestinese.
Riconoscere ciò che con ogni probabilità diventerebbe rapidamente un altro Stato terrorista islamico non può che costituire un precedente che potrebbe avere un impatto disastroso sui futuri negoziati e sul diritto internazionale e portare alla creazione di nuove piattaforme di lancio per chi è dedito al jihad violento, non solo in Israele, ma in tutto il mondo, comprese la Gran Bretagna e la Svezia.
Il 3 ottobre, il neo-eletto premier svedese Stefan Löfven ha utilizzato il suo discorso inaugurale per annunciare la decisione di riconoscere "lo Stato palestinese". In quella che va considerata come una delle dichiarazioni più auto-contraddittorie della storia politica, egli ha asserito: "Una soluzione a due Stati richiede un reciproco riconoscimento e la volontà di una coesistenza pacifica. Pertanto, la Svezia riconoscerà lo Stato della Palestina".
Si potrebbe essere perdonati per aver pensato che per diventare premier di un importante paese del primo mondo occorre avere notevoli competenze politiche, sociali e diplomatiche nonché una certa intelligenza. Löfven ha mai sentito parlare della Dichiarazione di Khartoum del 1967 che proclama: "Nessuna pace, nessun riconoscimento, nessun negoziato con Israele"? I palestinesi e l'intero mondo arabo ancora lo pensano, pertanto, da dove salta fuori "il riconoscimento reciproco"? Se i palestinesi e i loro sostenitori (compresa la sinistra svedese) ripetono continuamente che "la Palestina [sia] libera dal fiume al mare" (il che significa che Israele sarà sostituito da uno Stato palestinese che, sotto Hamas, è più che probabile che si trasformerà in un altro Stato islamico), da dove potrebbe derivare questa "volontà di una coesistenza pacifica"? Forse dallo Statuto di Hamas, il cui art. 13 dichiara inequivocabilmente: "Le iniziative di pace, le cosiddette soluzioni pacifiche, le conferenze internazionali per risolvere il problema palestinese contraddicono tutte le credenze del Movimento di Resistenza Islamico. (…) Non c'è soluzione per il problema palestinese se non il jihad. Quanto alle iniziative e conferenze internazionali, sono perdite di tempo e giochi da bambini?" O forse un esempio da seguire può essere trovato nella ventina di proposte di pace che i leader palestinesi hanno rifiutato negli ultimi sessantasei anni? Il riconoscimento della Svezia porterà alla pace e a "una soluzione a due Stati"? Oppure darà ai palestinesi un maggiore incoraggiamento a contrastare le disposizioni di diritto internazionale che legittimano il diritto di Israele a esistere e l'invito formulato nel 1947 alla creazione di due Stati in Palestina? I palestinesi continueranno a preferire la soluzione di uno Stato unico che conceda loro Gaza, la Cisgiordania e tutto Israele – con gli ebrei ora in Israele, Giudea e in Samaria ai quali forse sarebbe permesso di vivere lì a malapena tollerati come cittadini di seconda classe, o da dhimmi come i cristiani, i curdi e gli yazidi in Iraq, i curdi in Siria o i copti in Egitto? Oppure la creazione di uno Stato palestinese implicherà la morte o l'espulsione di tutti gli ebrei israeliani, visto che Mahmoud Abbas, il principale beneficiario di tutti questi sconsiderati riconoscimenti, ha dichiarato: "Nella soluzione definitiva, non vedremo la presenza di un solo israeliano sulla nostra terra, né civile né militare"?
Non c'è nessuno Stato palestinese da riconoscere, in primo luogo perché i palestinesi rifiutarono nel 1947 la proposta delle Nazioni Unite di creare uno Stato e hanno continuato a farlo in seguito, e inoltre da anni essi violano la Risoluzione 242 dell'Onu da loro accettata – che prevede la "Fine di tutte le pretese e di tutte le situazioni di belligeranza e il rispetto e riconoscimento della sovranità e dell'integrità territoriale e dell'indipendenza politica di ogni Stato della regione e del loro diritto di vivere in pace entro frontiere sicure e riconosciute, al riparo da minacce ed atti di forza" – dal momento che chiedono il ritiro di Israele entro i confini precedenti al 1967, un qualcosa che non è assolutamente previsto dalla risoluzione. A meno che a Israele non vengano concessi "confini sicuri e riconosciuti". Questo rifiuto blasé di rispettare un impegno vincolante a livello internazionale è una violazione che solo un politico totalmente analfabeta non riuscirebbe a ravvisare. Finché Israele sarà uno Stato circondato da paesi violenti come l'Iran, la Siria, il Libano controllato dall'Iran e lo Yemen – così come i movimenti jihadisti da Hamas a Hezbollah allo Stato islamico fino alla Jihad islamica, tutti apertamente dediti alla sua distruzione – nessuno Stato palestinese può essere riconosciuto.
La Svezia è stata una delle migliori democrazia più liberali, un mix perfetto di moderna democrazia sociale e conservatorismo. Nel 2013, The Economist l'ha eletta insieme ad altri paesi nordici paese più democratico dell'anno. La Svezia garantì la libertà di stampa nel 1766 e le sue conquiste sociali dal 1840 in poi la resero un modello di democrazia e di libertà individuali. Durante la Seconda guerra mondiale, essa salvò le vite di circa 8000 ebrei danesi e norvegesi. Continua a essere un paese creativo, che produce grandi opere teatrali e genera una miriade di giovani musicisti. All'apparenza, la Svezia sembra avere una mentalità progressista e illuminata tra le democrazie occidentali. E allora che cosa non ha funzionato?
Sono due le cose che potrebbero aver creato dei problemi nel paese delle renne: l'arrivo dell'Islam fondamentalista e l'introduzione della correttezza politica e del multiculturalismo in un sistema socialista moderato che, paradossalmente, ha reso la Svezia (e ancora la rende) progressista ed economicamente di successo pur abbracciando il capitalismo.
Molte cose in Svezia sono del tutto in contrasto con l'Islam ortodosso. Essa è uno dei paesi più evoluti al mondo in fatto di parità dei sessi. Alle donne fu concesso il diritto di voto (con delle limitazioni) nelle elezioni nazionali già nel 1758 ed esse ottennero il pieno suffragio universale dal 1921. La Svezia è il settimo paese al mondo ad aver legalizzato i matrimoni gay, dopo aver legalizzato l'omosessualità già nel 1944.
La maggioranza degli svedesi di origine islamica oggi è laica. Ma la minoranza che abbraccia una visione più rigida della fede deve sentirsi molto a disagio a vivere in un paese così tollerante di quasi ogni cosa contraria alla sharia, ossia la legge islamica. È qui che entrano in scena la correttezza politica e il multiculturalismo – i frutti distorti di un'opposizione peraltro encomiabile al razzismo e alla discriminazione, con i governi che si fanno in quattro (come anche in Gran Bretagna, Danimarca e Norvegia) per soddisfare le richieste e tener conto dei bisogni delle popolazioni immigrate.
Nel 1947, circa duemila immigrati arrivarono in Svezia; nel 2007, questa cifra era salita a 100.000, e tenderà ad aumentare per molti decenni, registrando un afflusso record nel 2013.
La Svezia ha agito coscienziosamente in conformità alla legislazione sui diritti umani internazionale ed europea, e si è impegnata seriamente per integrare gli immigrati in seno alla sua società. Nonostante questi sforzi, però, la discriminazione continua a far sì che molti immigrati non riescano a integrarsi a causa della riluttanza degli svedesi a mettere in atto le riforme.
Malgrado i seri sforzi volti a trasformare gli immigrati in svedesi rispettosi della legge, l'impennata del numero di stranieri non integrati inizia a ritorcersi contro. Parte della numerosa comunità araba e musulmana ha portato all'insorgenza di una diffusa attività criminale nelle città e alla creazione di zone off limits che sono molto simili alle 750 zone sensibili francesi dove alla polizia, ai vigili del fuoco e ad altri servizi sociali è precluso l'accesso, con le minacce di ricorrere all'uso della violenza o di sferrare attacchi pericolosi.
Soeren Kern del Gatestone Institute, in un dibattito sulle zone off limits esistenti in Europa, descrive così la situazione in Svezia:
In Svezia, che ha varato alcune delle leggi sull'immigrazione più liberali d'Europa, vaste aree della città di Malmö, nel sud del paese – dove oltre il 25 per cento dei cittadini è musulmano – ci sono delle zone off limits per non musulmani. I vigili del fuoco e gli addetti all'emergenza, ad esempio, si rifiutano di accedere a Rosengaard, un quartiere di Malmö abitato essenzialmente da musulmani, senza essere scortati dalla polizia. Si stima che a Rosengaard il tasso di disoccupazione maschile sia superiore all'80 per cento.
Nella città svedese di Gothenburg, i giovani musulmani lanciano bottiglie incendiarie contro le macchine della polizia. E nel quartiere di Angered, dove oltre 15 autovetture della polizia sono state distrutte, gli adolescenti puntano laser verdi negli occhi dei poliziotti, alcuni dei quali sono rimasti temporaneamente accecati.
Secondo l'imam di Malmö Adly Abu Hajar: "La Svezia è il miglior Stato islamico".
Una conseguenza inevitabile di questa impunità per i fondamentalisti islamici è stata una rapida crescita dell'antisemitismo nelle città come Malmö. Già nel 2003-2004, in un rapporto governativo degli Stati Uniti si leggeva che la Svezia già registrava un aumento di episodi di violenza antisemita, molti verificatisi proprio a Malmö. Un altro rapporto importante del 2005 sull'antisemitismo in Svezia pubblicato dal Living History Forum e dal National Council for Crime Prevention asseriva che: "Le immagini antisemite e gli atteggiamenti ambivalenti verso gli ebrei sono relativamente più diffusi tra i musulmani piuttosto che tra i cristiani e i gruppi non religiosi. Tra gli adulti, il 39 per cento di chi dice di essere musulmano nutre preconcette idee antisemite rispetto al 5 per cento del totale".
Questa conclusione spiega la curiosa discrepanza che emerge dall'ADL 2014 Global 100 Report on anti-Semitism, in cui si rileva che la Svezia ha uno dei tassi di antisemitismo più bassi del mondo, che si attesta al 4 per cento (tasso superiore solo a quello del 3 per cento nelle Filippine e dello 0,2 per cento nel Laos). Il dato del 4 per cento rilevato in Svezia si avvicina ai dati registrati in Danimarca, Norvegia e nei Paese Bassi.
Il motivo di questo squilibrio tra la percezione di un crescente antisemitismo e la rilevazione di un tasso di antisemitismo molto basso sta nel fatto che l'ADL non ha registrato i comportamenti dei musulmani in ogni paese dell'Europa occidentale. Il precedente dato del 39 per cento (che ora potrebbe essere aumentato) può essere un migliore indicatore di quale sia la reale situazione in Svezia.
Ovviamente la situazione peggiora in città come Malmö e Gothenburg, e in alcune zone di Stoccolma. Nel 2010, il quotidiano Skånska Dagbladet ha riportato che le aggressioni ai danni degli ebrei perpetrate a Malmö nel 2009 hanno raggiunto i 79 episodi, il doppio dei casi registrati nel 2008. In quello stesso anno, il Simon Wiesenthal Center avvertì gli ebrei di recarsi nel sud della Svezia con "estrema cautela", soprattutto a causa delle aggressioni fisiche commesse a Malmö.
Daniel Radomski, presidente della Federazione sionista della Svezia, non ha alcun dubbio in merito alla fonte dell'ondata di antisemitismo che sta imperversando nel paese: "Il recente intensificarsi dell'attività antisemita in Svezia proviene direttamente dalla comunità araba e musulmana".
Judith Popinski, una sopravvissuta dell'Olocausto, fa eco a questa idea: "Questo nuovo odio arriva dagli immigrati musulmani. (…) L'odio del Medio Oriente è arrivato a Malmö. Le scuole dei quartieri musulmani della città non invitano più i sopravvissuti dell'Olocausto a raccontare la loro esperienza".
Al giorno d'oggi, la classica diffidenza islamica e il disprezzo per gli ebrei si fondono perfettamente con le questioni politiche; ed è qui dove i fatti apparentemente isolati hanno delle conseguenze per la politica nazionale. Radomski tocca il nervo scoperto della questione, e lo fa in poche frasi ben scelte: "La cosa ancor più grave e scoraggiante", egli scrive, "è che l'attuale clima politico in Svezia è un fattore chiave per l'intensificarsi delle aggressioni antisemite. È questo il vero pericolo per gli ebrei svedesi, una combinazione fatale di correttezza politica, ipocrisia e oblio, dal momento che i leader politici e gli opinionisti prendono parte o ignorano palesemente la correlazione esistente tra una demonizzazione sproporzionata di Israele che spesso sconfina nell'antisemitismo. Ciò ha creato un clima in cui è ammissibile e si è spronati a caldeggiare le richieste di distruggere Israele ignorando volutamente l'effetto che questo appoggio ha come mezzo per intensificare l'antisemitismo svedese".
L'ex sindaco di Malmö, Ilmar Reepalu, un politico del partito socialdemocratico (ora consigliere del comitato esecutivo del partito) guadagnò notorietà quando condannò la violenza antiebraica. Ma in un'intervista rilasciata nel 2010 al quotidiano Skånska Dagbladet egli disse: "Mi auguro che la comunità ebraica denunci le violazioni israeliane commesse ai danni della popolazione civile di Gaza. Invece, essa ha deciso di organizzare una manifestazione [pro-israeliana] nella Piazza Grande [di Malmö], che potrebbe inviare segnali sbagliati".
La manifestazione pro Israele menzionata da Reepalu era una marcia per la pace il cui svolgimento fu pesantemente disturbato da una contro-manifestazione violenta, ma l'ex sindaco non poté far altro che dare la colpa agli ebrei. E peggio ancora, intervistato dal britannico Sunday Telegraph, sempre nel 2010, egli negò persino che a Malmö ci fossero stati dei casi di aggressioni antisemite: "Non ci sono stati attacchi ai danni degli ebrei, e se gli ebrei residenti in città desiderano trasferirsi in Israele, la questione non riguarda Malmö".
Reepalu non è considerato un antisemita, ma le sue osservazioni evidenziano involontariamente un dato di fatto, ossia che in Svezia, come altrove, vi è una vera e propria combinazione di antisemitismo e antisionismo. Gli ebrei, come ha detto Reepalu, possono solo cercare protezione dalla violenza se "prendono le distanze da Israele".
L'odio dei musulmani svedesi nei confronti di Israele e degli ebrei ha trovato così un veicolo perfetto per esprimere proprio ciò che, in altre circostanze, non avrebbe fatto altro che dirigere quell'odio contro un muro insormontabile di tolleranza nazionale. Quel muro sarebbe stato costruito con i mattoni dei valori liberali svedesi, la diffusa assenza di antisemitismo tra gli autoctoni svedesi (il favoloso tasso del 4 per cento), un senso di democrazia individuale e comunitaria di lunga data, la preoccupazione per gli oppressi, la coscienza morale, il socialismo moderato e l'impegno a favore dei diritti umani. In un mondo sano, tutte queste cose avrebbero portato a un forte sostegno agli ebrei sotto attacco e suscitato la solidarietà verso uno Stato ebraico assediato da tutti i lati dalle forze islamiste, da Hamas a Hezbollah fino allo Stato islamico.
Oggi, in Svezia, l'antisemitismo travestito da anti-israelismo è molto diffuso, non ultimo tra parti della classe politica:
"Membri del Parlamento hanno partecipato alle manifestazioni di protesta contro Israele dove la bandiera israeliana è stata bruciata mentre si sventolavano le bandiere di Hamas e Hezbollah, e la retorica era spesso antisemita – e non solo anti-israeliana. Ma questa retorica pubblica non è bollata come esecrabile né viene denunciata, ha detto Henrik Bachner, uno scrittore e docente di storia presso l'Università di Lund, nei pressi di Malmö".
I governi svedesi hanno fatto molte cose buone per la loro popolazione. Hanno creato un'economia sana ed equilibrata e un solido quadro sociale. Ma in molti altri posti in Europa, l'apertura politica alla diversità, con una particolare attenzione alla cultura nazionale, ha ceduto il passo a ondate di correttezza politica e negazione multiculturale.
Molti politici e numerosi cittadini considerano i palestinesi come i derelitti del mondo, i quali, per quanto orribile sia la loro condotta, non possono fare alcun male; e dipingono Israele come un paese nazista che perseguita i palestinesi e "ruba" – inspiegabilmente – la terra di un popolo che vive in quella terra da circa 4000 anni.
Un paese che liberamente e opportunamente dà asilo a chi è perseguitato da regimi oppressivi (come le migliaia di iraniani fuggiti dopo la rivoluzione del 1979) può troppo facilmente cadere a causa della distorta e falsificata "narrativa palestinese". Perché altrimenti un parlamentare del Partito socialdemocratico prenderebbe in considerazione anche per un attimo la teoria del complotto secondo la quale il Mossad israeliano addestri i combattenti dello Stato islamico? Adrian Kaba ha formulato quest'accusa il mese scorso. Si è poi scusato e ha riconosciuto di aver sbagliato – ma un parlamentare che coltiva tali illusioni probabilmente lo fa perché la cultura politica entro cui opera incoraggia delle credenze bizzarre su Israele, e forse anche sugli ebrei.
Riconoscere uno "Stato palestinese" serve solo a dare ai palestinesi false speranze di realizzare le loro ambizioni di cancellare letteralmente Israele dalla carta geografica – è stato già avviato questo processo molto tempo fa eliminando Israele da tutte le mappe – e ribaltare permanentemente il consenso su come sono gestire le questioni internazionali.
Il direttore dell'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Profughi palestinesi nel Vicino Oriente (Unrwa), in Libano, Ann Dismor, nel maggio 2013, posa con una mappa priva di ogni traccia dello Stato di Israele, invece di presentarla come una mappa della "Palestina". (Fonte dell'immagine: Palestinian Media Watch) |