La settimana scorsa, nell'articolo titolato "La Svezia: da 'superpotenza umanitaria' a Stato fallito", abbiamo promesso di affrontare la questione di ciò che motiva chi sta aprendo le porte al massiccio afflusso di musulmani e di altri nuovi arrivati che hanno difficoltà a integrarsi in Europa. Non esiste una risposta semplice ma delle risposte parziali, che combinate possono far luce sull'interrogativo: "Chi ne trae vantaggio?"
Come punto di partenza, dobbiamo prendere in considerazione la recente conferenza stampa congiunta alla Casa Bianca del premier britannico David Cameron e del presidente americano Barack Obama. Nonostante una quantità impressionante di sbuffi, i due leader hanno ancora una volta dimostrato che la loro comprensione dell'Islam lascia molto a desiderare. Una spiegazione più sinistra di questa è che loro capiscono più di quanto sono disposti a dire per paura di urtare "1,6 miliardi di musulmani".
"Noi rappresentiamo i valori in cui crede la stragrande maggioranza dei musulmani", ha detto il presidente Obama. Questa è un'affermazione molto dubbia ma se fosse vera non avrebbe importanza nel mondo reale, come ha spiegato in modo convincente Brigitte Gabriel. In breve, ella ha detto che finché sarà la minoranza violenta, radicale e antidemocratica dei musulmani a dettare legge, non ha alcuna importanza se la maggioranza è pacifica, tollerante e democratica. Così come era poco importante che la maggior parte dei tedeschi, russi e cinesi fosse probabilmente contraria agli eccessi del nazismo, dello stalinismo e del maoismo. Hitler, Stalin e Mao riuscirono a uccidere oltre cento milioni di persone.
Cameron non se l'è cavata molto meglio di Obama. Ha detto che i musulmani sono "sedotti" da una "narrativa velenosa che distorce l'Islam", nonostante molti potrebbero dire che ciò che il profeta Maometto si è lasciato alle spalle è abbastanza iniquo.
Per fortuna, molti musulmani non sono disposti ad attuare il programma sanguinario di Maometto di intimidazioni, schiavitù e uccisioni. Il fatto che i nostri leader occidentali continuino a dipingere l'Islam come qualcosa che è stato inventato dall'Esercito della Salvezza non aiuta certo i musulmani pacifici né tutti noi. In effetti, si potrebbe anche dire che la "narrativa" di molti politici è la vera perversione di un messaggio che è chiaro come dovrebbe.
L'approccio morbido di Obama
Il presidente Obama si è anche preso la briga di insegnare agli europei come misurarsi con il massiccio afflusso di immigrati. Non è sufficiente "rispondere con un martello, ricorrendo alle forze dell'ordine e con approcci militari" per contrastare le minacce, egli ha detto. È importante che gli europei "collaborino" con queste comunità – in altre parole, che usino un approccio morbido.
Se c'è un posto dove dovrebbe funzionare un approccio ospitale, tollerante e finalizzato all'integrazione, beh, questo luogo è la Scandinavia. Lì, sostanzialmente, tutti gli immigrati, a prescindere dalle origini, dalla religione o dalla cultura, sono accolti a braccia aperte.
Prendiamo in esame l'esempio della Danimarca.
Non appena i nuovi arrivati giungono in questo paese e una volta concesso loro il permesso di soggiorno (e in una certa misura anche prima), essi ricevono ogni beneficio che il nostro stato sociale ha da offrire: assistenza medica gratuita, istruzione gratuita tramite l'università, alloggi che sono spesso migliori di quelli di cui devono accontentarsi gli autoctoni indigenti, sussidi, formazione linguistica gratuita, pensioni di invalidità, pensioni di vecchiaia, eguali diritti dinanzi alla legge etc. Non riesci a occuparti del tuo sostentamento economico, di quello di tua moglie (o mogli) e della numerosa prole perché non hai le competenze necessarie per trovare lavoro oppure preferisci non lavorare? Nessun problema. I contribuenti ti forniranno tutto ciò di cui hai bisogno. Vuoi andare a combattere in Siria per lo Stato islamico e abbandonate le persone a tuo carico? Nessun problema. Lo Stato pagherà per loro mentre tu affini le tue abilità di guerriero santo. Vuoi tornare in Danimarca se ti sei stancato di sgozzare e seppellire viva la gente in Siria? Sei il benvenuto e potrai godere di tutti i bonifici bancari ricevuti prima della tua impresa esotica.
Si può avere un approccio più morbido di questo?
Eppure, non si sente quasi mai un musulmano – di prima, seconda o terza generazione – esprimere la benché minima gratitudine per tutto quello che i contribuenti danesi gli danno. Piuttosto, il contrario. Quando i musulmani si lamentano con i media, in genere, lo fanno per lagnarsi del modo orribile in cui sono trattati. Essi vengono vessati, esclusi, derisi e offesi dai nativi. La popolazione autoctona volta loro le spalle. Spesso, questo è vero, ma almeno in parte si spiegherebbe con il fatto che i musulmani preferiscono vivere in aree circoscritte (in Danimarca sono chiamate ghetti) dove possono praticare la sharia, mantenere il controllo delle loro donne e tenere fuori chi non è bene accetto.
La piccola Danimarca, la cui superficie misura 16.621 miglia quadrate (più di 43.000 kmq) ed ospita 5,5 milioni di abitanti – di cui quasi 300.000 sono musulmani – ha già 33 o 40 (a seconda di quale definizione si usa) aree musulmane. Alcune di esse si sono trasformate in "no-go zones" dove la polizia e i vigili del fuoco esitano a entrare per paura di essere aggrediti fisicamente. Tra le più note, ricordiamo i sobborghi di Inner Nørrebro e Tingbjerg, a Copenaghen, di Vollsmose, nella città di Odense e di Gellerup appena fuori da Aarhus.
Miliardi e miliardi di corone sono stati spesi nel tentativo di riqualificare, rinnovare e abbellire queste aree, sul presupposto che la criminalità e i comportamenti anti-sociali che scaturiscono da queste zone sono dovuti alle misere condizioni di vita e alla povertà. Niente ha funzionato, e la ragione è semplice: gli imam e altri santi uomini mantengono una presa salda sulla diaspora musulmana (ad esempio, convincendo i capifamiglia che le loro mogli debbano indossare il velo ed essere costantemente sotto la supervisione maschile). Questo assicura che non ci sia alcuna integrazione.
Membri dell'organizzazione islamista Hizb ut-Tahir manifestano nel 2006, a Copenaghen, in Danimarca, chiedendo la creazione di un califfato islamico mondiale. (Fonte dell'immagine: Wikimedia/Commons/Epo) |
Agli imam viene insegnato che è loro compito prestare attenzione all'ordine di Maometto di combattere per la causa di Allah finché il mondo intero non si piegherà alla sua volontà. Questo non sarà possibile se i credenti iniziano a integrarsi con gli infedeli o se emulano la loro cultura. La loro vera adesione dovrebbe essere all'umma (comunità) musulmana mondiale. E, naturalmente, aiuta molto se c'è un afflusso costante di nuovi arrivati musulmani che vengono da lontano.
Pertanto, questa è una spiegazione fondamentale del perché l'integrazione sia fallita non solo in Danimarca ma ovunque gli imam controllano la situazione. Se non ci fossero controlli locali, catene di comando, canali di finanziamento dai potentati e dalle organizzazioni missionarie del Medio Oriente, l'integrazione sarebbe riuscita almeno in parte.
Questo è ciò che pensa un pastore luterano danese che ha aiutato i primi musulmani arrivati in Danimarca negli anni Settanta a integrarsi. Tutto procedeva bene fino al giorno in cui non sono arrivati gli imam e hanno iniziato ad ammonire i musulmani locali che stavano commettendo un peccato mortale diventando troppo occidentalizzati.
Memori del pensiero luterano danese, il pastore e i suoi amici hanno fatto proprio il famoso motto del pastore luterano e poeta N. F. S. Grundtvig vissuto nel XIX secolo che diceva che chiunque, a prescindere dalla "razza" e dalle origini, può diventare parte del popolo danese, se lo desidera – e "ha orecchio per la madrelingua e passione per la patria".
Gli imam e i loro sostenitori stranieri sono ben consapevoli di questo invito aperto e agiscono di conseguenza.
Questo mostra la futilità delle esortazioni fatte dal presidente Obama e da altri leader occidentali in merito al fatto che le autorità dovrebbero impegnarsi con le comunità religiose locali (da interpretare come autoproclamati portavoce dei musulmani). In questo modo, i leader occidentali conferiscono involontariamente agli imam un ruolo di intermediari tra lo Stato e strati della popolazione. La legge dello Stato dominerà sui musulmani nella misura in cui gli imam glielo permetteranno. Naturalmente, questo ha un prezzo in termini di concessioni culturali, come il diritto di indossare il velo nelle istituzioni pubbliche, l'abolizione della carne di maiale nelle mense degli asili, piscine separate per i due sessi nelle scuole e nelle strutture pubbliche e la costruzione di grandi moschee finanziata dagli islamisti in Medio Oriente.
L'anno scorso, l'ex imam danese Ahmed Akkari, che è di origine libanese, ha pubblicato un libro intitolato Min afsked med islamismen (Il mio addio all'islamismo). Nel volume, egli afferma senza mezzi termini che non esiste una sola moschea "moderata" nel paese e che gli imam praticano abitualmente la taqiyya (la dissimulazione o l'inganno): dicendo ai danesi ciò che vogliono sentire ma asserendo qualcosa di completamente diverso al loro gregge. Akkari dovrebbe saperlo bene: egli faceva parte del gruppo di imam che fece il giro del Medio Oriente per fomentare gli animi contro la Danimarca nel 2005-2006, allo scopo di punire il paese per le famose vignette su Maometto che erano state pubblicate dal quotidiano Jyllands-Posten.
Da allora Akkari ha chiesto scusa e perdono per i danni causati, ma non troverà alcuna clemenza da parte degli uomini forti musulmani e ha dovuto accontentarsi della lontana Groenlandia per sfuggire alle molestie e alle minacce dei suoi ex fratelli in armi.
"Il complesso immigrazione-industriale"
Un altro gruppo che ha un interesse consolidato nell'immigrazione di massa e nella non integrazione è quello che può essere definito "Il complesso immigrazione-industriale". Stiamo parlando del gran numero di dipendenti pubblici e funzionari di organizzazioni umanitarie semi-private che si occupano dell'accoglienza, della cura e dell'integrazione degli stranieri. Se dovessero avere successo o se il flusso dei richiedenti asilo si prosciugasse, allora sarebbero senza lavoro.
Come prerequisito del suo lavoro, il complesso immigrazione-industriale cerca di diffondere un senso di colpa. Questo sforzo è fortemente supportato da un gran numero di giornalisti e di cosiddetti "esperti" che hanno costruito la loro carriera accusando di razzismo, "islamofobia" e xenofobia i loro compatrioti danesi. Siamo così ricchi, essi affermano, eppure non ci assumeremo la responsabilità per la condizione dei miliardi di nostri simili perseguitati e oppressi dalla povertà in tutto il mondo.
Come esattamente facciano i danesi – e altri europei che non hanno fatto mai male a una mosca – a sostenere questo onere non è mai stato spiegato. Né questo tipo di autoflagellazione ha peso fuori dall'Occidente. Ma qui funziona meravigliosamente.
Come spiegava qualche anno fa Amir Taheri, già direttore del maggior quotidiano di Teheran, a una conferenza a Copenaghen: "Se si vogliono integrare i nuovi arrivati, occorre sbarazzarsi di chi non è integrato".
L'interesse politico
E che dire dei politici? Perché continuano a importare musulmani in cifre da record, pur sapendo bene che tutti i tentativi di integrare coloro che sono arrivati prima sono falliti?
Per la sinistra, questa è un'ottima cosa. La sinistra, in Danimarca, ha perso sia la guerra fredda sia la fedeltà della classe operaia in cui aveva riposto le sue speranze politiche. Nei primi anni Settanta è stato estremamente chiaro che i lavoratori erano soddisfatti dello stato sociale che avevano contribuito a creare e volevano sovvertire l'economia capitalista e imbarcarsi in esperimenti socialisti.
La sinistra non può mai perdonare il "proletariato" per aver voltato le spalle al progetto socialista votando per i partiti di centro-destra. È necessario un nuovo proletariato – che non s'integrerà mai nella società borghese ed è impaziente di sovvertirla, come lo è la sinistra. E finché l'ideologia del multiculturalismo, del post-nazionalismo, della globalizzazione e del relativismo culturale dominerà i media (come è il caso della Danimarca), pochi politici oseranno chiedere uno stop all'immigrazione.
La partenza è stata buona. Un sondaggio di elettori immigrati ha documentato che se solo gli immigrati dovessero eleggere il Parlamento danese, la sinistra otterrebbe 169, dei 179 seggi complessivi.
Non c'è da stupirsi che la sinistra consideri con serenità d'animo un ulteriore afflusso massiccio di persone dal Terzo Mondo, per non dire con entusiasmo. Il problema è che questo tipo di immigrazione è destinato a distruggere lo stato sociale che la sinistra sostiene di difendere e la sua scomparsa non è lontana.
Ma quale uomo politico di sinistra oserebbe abbandonare la nave e ammettere che trent'anni di politica della "porta aperta" sono stati un errore?
Il vero mistero è perché il centro-destra, con l'eccezione del Partito del popolo danese (in danese Dansk Folkeparti o DF) contrario all'immigrazione, ha supportato l'immigrazione di massa dal Terzo Mondo, soprattutto tenendo conto del fatto che pochissimi immigrati sono propensi a votare per loro.
Sembra che non ci sia alcuna buona spiegazione, salvo che non esiste più un'ideologia conservatrice oppure con una valenza nazionale che si opponga alle ideologie tentacolari del post-nazionalismo, del multiculturalismo, della globalizzazione e del relativismo culturale.
La Danimarca è lo stato-nazione europeo con la storia più lunga e ininterrotta all'interno dei suoi attuali confini. Nel corso del tempo, la Danimarca ha ceduto vasti territori alla Svezia e alla Germania, ma il nucleo è intatto. Ma difficilmente un politico che non faccia parte del Partito del popolo danese si alzerebbe e direbbe che la Danimarca è la patria dei danesi ed è così da oltre mille anni. Né si ammetterà che se la Danimarca si è smarrita a causa di un folle esperimento multiculturale, i danesi non avranno una patria e la loro lingua e la cultura appassiranno.
Recenti segnali dal centro-destra indicano che un cambiamento potrebbe essere in corso. Ma resta da vedere se si tratta più che altro di fumo negli occhi, per influenzare gli elettori prima delle elezioni politiche che si terranno quest'anno.
In ogni caso, il tempo stringe per l'ex stato sociale democratico e accogliente di Danimarca.
Pur approvando gli articoli scritti da Ingrid Carlqvist e pubblicati finora qui sul sito, il Gatestone Institute non è più legato in alcun modo all'autrice.